il dolore perfetto..

[questa nuovo tema non determina la chiusura  della discusione precedente, che continua simultaneamente, grazie a voi gentili ospiti…]

Il furore del dolore..

Ma come misurare il dolore, se non con la scala del proprio dolore!
È corretto?
 
La misura del dolore dovrebbe essere oggettiva  ma come è possibile valutarne la consistenza senza conoscere soggettivamente i valori del   dolore?
E’ assoluto o relativo?
Si cade così nell’egocentrismo ed egoismo del dolore: il dolore vero…è il nostro.
 
Perché lo sentiamo, perché ne sentiamo gli effetti direttamente, altrimenti saremmo tutti più tolleranti e consapevoli del senso del dolore altrui.
 
E allora quale è il dolore perfetto?
 
È questo che sento, e che percepisco nelle carni o nella mente, o nel cuore?
O codesto…?
O quello…?
 
Saper vivere è quindi la capacità di conoscere il dolore e saperne gestirne gli effetti, è la consapevolezza di sapere individuare la soglia oggettiva, e rispondere con comportamenti adeguati, volti alla salvaguardia della propria missione di vita.
 

dolore

                                                                      (immagine presa dal web)

Informazioni su Lorenzo de Vanne

si..sono Lorenzo, un pò angelo e un pò demone, curioso della vita e della morte, della mente e dello spirito, della donna ... della parola...del silenzio! Io, vagabondo senza quiete, in cerca delle tra
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49 risposte a il dolore perfetto..

  1. claudine2007 ha detto:

    Premetto che non sono attiva in campo medico! Questo mio apporto è unicamente una considerazione personale, forse anche banale.
    Dei diversi tipi di dolore, quello che più ci spaventa penso sia il dolore fisico, su base organica.
    Siamo coscienti che il nostro corpo deperisce, giorno dopo giorno, lo stato di invecchiamento perturba il normale svolgersi anche delle mansioni più banali… A volte una malattia ci assale… con la malattia giunge il dolore.
    Ma se questi si basasse unicamente su tale condizione (dolore fisico su base organica), il quantificare il dolore dovrebbe risultare “uguale” per tutti (oggettivo). Ciò che però ne determina l’impatto e grandezza è il fattore psichico (soggettivo), di conseguenza il dolore assume diversi “livelli” di dimensione (cfr. vegetativo, emotivo e comportamentale). La componente psichica differenzia quindi la sensibilità al dolore degli individui…
    Per il dolore fisico, le terapie per farlo diminuire o cessare sono innumerevoli… e qui la medicina negli ultimi 50 anni ha fatto enormi progressi.
    L’altro dolore, forse il più insidioso, è più infido e difficile da diagnosticare e quindi curare e quello psichico, che il più delle volte sfocia in una “somatizzazione” a livello fisico. Questo tipo di malessere ha molti volti, quante le sfumature di un cristallo 😉
    Ma credo di avere percepito dove Lorenzo vuole portarci con la sua argutezza e genuina perspicacia…
    In fondo la consapevolezza dell’essere umano, dovrebbe portarlo al poter determinare “fino a dove” egli possa osare…
    Confermo la sua argomentazione che il “saper vivere” nel rispetto del proprio corpo, seguendo dunque comportamenti adeguati, dovrebbe poter circoscrivere (anche se non tutti) i pericoli nei quali possiamo incombere.
    Mens sana in corpore sano.
    Dovremmo… ma ben sappiamo che l’Essere Umano è incline a ben altri ideali!
    Volutamente non tocco la tematica del dolore psichico… Una certa dose di masochismo mi rende rea nel mancare l’osservanza elementare di quei saggi consigli che, se seguiti, potrebbero evitare insidie. Ma diciamo che la “soglia” del mio dolore psichico è provata essere molto alta!!
    Un sereno fine settimana :-)claudine

  2. CristinaKhay ha detto:

    Il dolore è un tentativo di difesa, un campanello d’allarme che la natura sviluppa negli organismi vitali nel tentativo di proteggere la vita da vari pericoli…
    Il dolore è sempre imperfetto… Basta pensare all’assurdità del dolore al trigemino che è tanto lancinante ma la cui causa non è pericolosa per la vita dell’uomo se non il dolore stesso ( nel passato spesso portava al suicidio quando ancora non c’erano i medicinali adatti per arginare il dolore )…e confrontarlo con l’assoluta assenza di dolore di molte forme tumorali.
    Il dolore non è perfetto e nè oggettivo, non esiste un valore assoluto con cui misurarlo ed è lo stesso per qualsiasi percezione.
    Perciò si fatica tanto ad entrare nei panni degli altri, semplicemente non si hanno gli stessi parametri di misurazione e valutazione dell’esperienza.
    Un dolore nuovo spesso è più intenso di uno vecchio perchè non si conosce, non si sa come prenderlo, direi che l’abitudine è purtroppo una sorta di anestetizzante.
    Parli di soglia, ecco questo è molto importante, perchè riporta all’estrema soggettività dell’argomento.
    La soglia personale di tolleranza al dolore si può innalzare, sia a livello fisico che psicologico. Vengono messe in moto tutte le forze disponibili per riconoscere il dolore e domarlo, sempre con strategie di pensiero, distogliendo la mente dal dolore quando è possibile ( fisico ) oppure metabolizzando, trasformando il messaggio emotivo in dati utili per l’evoluzione e la continuazione del percorso-vita.
    Sopravvivere, insomma.
    Chissà perchè questa parola – sopravvivenza – viene spesso denigrata…
    Altro non è che il percorso risultato dalle nostre somme, moltiplicazioni e sottrazioni che facciamo costantemente, a livello conscio o meno, ottenute dai feedback fisici e psicologici che gli stimoli interni o esterni hanno indotto.
    Il dolore è un effetto che diventa causa, tassello di esperienza e comprensione esponenziale.
    Ad altri livelli è la percezione dell’interruzione del flusso energetico, di quell’onda perfetta che è la vita senza resistenza alcuna.
    Non esiste il dolore perfetto… semplicemente perchè il dolore stesso è una imperfezione, è incomprensione di noi stessi e della vita, dei nostri processi fisici ed emotivi, è paura, disagio, sintetizzando il dolore è il nostro grido di paura della morte, dell’annullamento.
    E’ il primo bagliore della consapevolezza di sè.

  3. DomusLaurentii ha detto:

    interverrò più avanti…sulle opinioni molto interessanti di Claudine e Cristina
    ma questa mattina tra le mie letture mi è capiatata questa frase…di Henri Frédéric Amiel, tratta dai “Frammenti di un diario intimo”

    -La somma dei dolori possibili per ogni anima è proporzionale al suo grado di perfezione-

    mi incuriosisce questo triangolo dolore-anima-perfezione..

    il faut réflechir…mes amis

  4. claudine2007 ha detto:

    Mi permetto di osservare quest’ultima asserzione di Lorenzo da una nuova angolatura… Se la compassione è la risposta del cuore al dolore (essendo noi tutti partecipi alla gioia ed al dolore che coinvolge gli essere viventi sul pianeta), unicamente la “maturazione” del rispettivo e singolo karma (legato alla Mente/Anima) può influire sulla somma della sofferenza alla quale ogni individuo è sottoposto.
    In un mio commento al precedente post, ho cercato con le mie semplici parole di spiegare il significato della Mente/Anima e del suo karma. Quindi è a causa del nostro karma o azioni che siamo nati (rinati – reincarnati) in questo mondo impuro, contaminato e proviamo così tante difficoltà e problemi. Le nostre azioni delle vite precedenti (registrate quali impronte karmiche) determinato la ragione fondamentale per cui noi proviamo la sofferenza, il dolore. E qui, mi sembra che anche Cristina è concorde con la “soggettività” del dolore. Mi ripeto, affermando che ogni persona ha un karma individuale diverso, come ogni persona ha stati mentali completamente differenti, esperienze diverse ed apparenze fisiche dissimili. Quindi ciò comprova la unicità del dolore in ogni essere vivente, che percepisce lo stesso sui tre livelli –vegetativo, emotivo e comportamentale. Volutamente parlo di esseri viventi: gli animali sono considerati dalla sottoscritta con estremo rispetto… al pari degli esseri umani! Anche loro soffrono…
    Lorenzo è intrigato dalla “trinità” DOLORE – ANIMA – PERFEZIONE
    Con libertà, utilizzo un sinonimo di “Perfezione” : Realizzazione.
    L’essere umano è costretto al percorso terreno, seguendo un percorso prestabilito sin dal concepimento attraverso le impronte karmiche generate… Se con determinazione e consapevolezza (del proprio sé) decidiamo di modificare il nostro modo di vivere, staccandoci dalle abitudini dannose e portando la nostra Mente/Anima ad uno stato vibrazionale più alto, di conseguenza optiamo per l’unica possibilità che ci permetterà una rinascita migliore. Con ciò non significa che diventiamo immuni dal dolore! Fintanto che le impronte karmiche legate alle nostre vite precedenti non si saranno estinte, proveremo la condizione di dolore (in tutti e tre i livelli).
    Forse proprio attraverso il Dolore, la nostra Mente/Anima può raggiungere la Perfezione…

    Un sereno fine settimana :-)claudine

  5. StregaLunare ha detto:

    Argomento anche questo non facile da trattare caro Lorenzo.
    Il dolore si vive come si vive la gioia e il piacere.
    Posso solo entrare un po’ nel mio vissuto per spiegare con pochi concetti che cos’è il dolore.
    Ho provato sia dolore fisico che dolore emotivo.
    Il primo dopo un po’ lo scordo, quasi non me lo ricordo…ma se devo associare un dolore biliare di una colica ad una frattura multipla di una caviglia, posso dire che ricordo molto bene il dolore acuto della colica, perché è stato un dolore lacerante.
    Il dolore fisico, parlo sempre del mio vissuto, riesco a dominarlo con scariche di forte adrenalina e forza interiore, quasi un dimostrare/rmi chi sono….J
    Ogni dolore è a sé….posso comprendere chi ha vissuto dolori simili ai miei ( vedi i lutti e di conseguenza gli abbandoni per esempio), ma non credo che per ogni individuo sia lo stesso dolore.
    In quei momenti si manifesta la vicinanza, l’affetto, ma non si potrà mai capire cosa si nasconde dentro all’anima di chi vive quel dolore.
    Ma il vero dolore non è quello fisico, ma bensì quello psico/emotivo.
    Il dolore dell’anima non guarisce mai e neppure con “ il tempo “che si dice sia ottimo medico, no…assolutamente e non ci sono medicinali che hanno il potere di rimarginare certe ferite.
    Il dolore dell’anima cambia anche l’aspetto morfologico di una persona: prematura comparsa di capelli bianchi, occhi velati di tristezza, serietà e durezza nei lineamenti.
    Questo tipo di dolore rimane insito e l’unica forza è proseguire il sentiero di vita e di lasciar che il dolore si vesta di noi come è la melanconia di una giornata uggiosa.
    Una volta un mio “ maestro” rispose a un mio quesito del perché la mia vita era improntata sul dolore..”perché è nel dolore che ti senti viva”, lo cerchi come se fosse un piacere.
    Sono passati diversi anni e tutt’oggi posso solo affermare la sua risposta per ciò che riguarda il mio vivere.
    Quando si trova quel piacere è pura estasi, sebbene dura poco e conosco bene le conseguenze del dopo, l’importante è non sprofondare nel delirio di quel piacere “doloroso” perché è un circolo chiuso e se non si ha una buona conoscenza di sé stessi si rischia di viverci perennemente e solamente nel dolore senza più godere di quel sottile piacere.
    Lo so, che appare contorto!
    Ma in questo piacere doloroso trovo a volte le forti ispirazioni nel mio scrivere versi…quando sono troppo serena… ahhahaahah, mi faccio una risata perché ci sta bene, mi sento quasi a disagio perché non mi riesce un verso inquieto ne sento la mancanza
    …e rivolgo il mio poetare appagante al vero piacere ovvero l’eros…
    Poi osservo il tutto e vedo sempre il solito filo conduttore “piacere- dolore-morte” “Eros-Pathos Thanatos”.

    “Saper vivere è quindi la capacità di conoscere il dolore e saperne gestirne gli effetti, è la consapevolezza di sapere individuare la soglia oggettiva, e rispondere con comportamenti adeguati, volti alla salvaguardia della propria missione di vita.”

    Sono meccanismi sempre in bilico Lorenzo.Ci vuole una forte capacità e consapevolezza di se stessi nell’affrontare il dolore.
    Quando si tocca il fondo non pensi di salvaguardare la propria missione di vita, ma vorresti liberare l’anima da questa condanna e dannazione.
    Poi scatta qualcosa, una forza che va al di là della razionalità….

    Dalila

  6. StregaLunare ha detto:

    “…La somma dei dolori possibili per ogni anima è proporzionale al suo grado di perfezione..
    mi incuriosisce questo triangolo dolore-anima-perfezione..”

    Mi era sfuggita questa citazione.

    Il dolore non ci rende perfetti, la perfezione non esiste dal mio punto di vista, anzi collego questo pensiero al pensiero delle religioni.
    Per quel poco che conosco delle grandi religioni monoteistiche in buona parte di esse ci deve essere la sofferenza terrena o per il raggiungimento del paradiso o per l’elevazione dello spirito.
    Quindi mi viene una domanda:
    Ma se una persona ha una vita appagante e senza dolori ( cosa impossibile, dovrebbe essere orfano e non legarsi neppure a un animale e non avere una sensibilità verso il prossimo ) senza dolore non sarà mai perfetto?
    Spero che sia come dice nel suo intervento Claudine ( che in parte condivido) che è la legge del Karma, quindi alla fine rinasco e soffro per trovare la perfezione…
    A volte penso che ce la raccontiamo per alleviarci dal peso della vita dolorosa.

  7. claudine2007 ha detto:

    Questo pomeriggio ho meditato… pensando alle parole di Lorenzo, agli interessanti interventi di Carmen e Dalila.
    Che Uomo è… un Uomo che non desidera un Mondo migliore? Mi sono ripetuta più volte questo quesito…
    Da questa semplice frase, ho vagato coi pensieri lasciando fluire le emozioni. Ve le riporto, per condividerne con voi la forza.
    Noi tutti, indistintamente, cerchiamo la Felicità.
    Ogni notte, quando l’ultimo barlume della consapevolezza conscia è in noi… ci pensiamo.
    Ogni alba, quando il primo pensiero del giorno ci coglie con la certezza della Vita… le riflessioni ci conducono a visualizzare la Serenità… o forse… l’emozione del momento ci conduce da quella persona che ci manca… illudendoci che la Felicità abbia un volto ed una forma metafisica.
    Poi, dopo il primo attimo di sgomento, il dolore ci attanaglia il cuore.
    Questo è sofferenza della Mente/Anima, lo stato psichico, vizioso e terribile che assume tante valenze quante le visioni d’ogni essere umano. E’ il dolore.
    Realizziamo che il Sentiero è irto d’ostacoli, nulla ci è regalato, ovunque regna la sofferenza… se non ci tocca direttamente, con amore volgiamo lo sguardo agli altri Esseri viventi.
    Nella ricerca del sentimento della felicità, passiamo dunque attraverso il dolore.
    Molte persone credono che, quando alla morte il corpo si disintegra, il continuum della mente cessi e la menti diventi non-esistente. Proprio come la fiamma di una candela si spegne quanto tutta la cera è bruciata. Ci sono persino alcune persone che pensano di compiere il suicidio nella speranza che morendo cessino i loro problemi e le loro sofferenze…
    Queste idee, tuttavia, sono completamente errate. Se il nostro corpo e la nostra mente sono entità separate e sebbene il corpo alla morte ritorna ad essere polvere, il continuum della mente rimane ininterrotto…
    Invece di cessare, la mente lascia semplicemente il corpo attuale e va nella prossima vita (reincarnazione). Ma per gli esseri, perciò, invece della liberazione dalla sofferenza, la morte porta solo sofferenza nuova.
    Forse avete sentito parlare della speciale pratica spirituale chiamata “trasferimento della coscienza in un altro corpo”, che era molto diffusa nei tempi antichi (anche con riferimento diretto allo sciamanismo). Possiamo anche ottenere una comprensione delle vite passate e future esaminando il processo del dormire, sognare e svegliarci, perché questo è molto simile al processo della morte, stato intermedio (bardo) e rinascita.
    Generalmente crediamo che le cose che percepiamo nei sogni siano NON reali mentre le cose che percepiamo quando siamo svegli siano vere, ma in realtà ogni cosa che percepiamo è simile al sogno nel senso che è semplice apparenza alla mente. Per coloro che possono interpretarli correttamente, i sogni hanno un grande e profondo significato! … Ma scusate, ora mi lasciavo trasportare fuori discussione…
    Torno alla frase “chiave” … Che Uomo è… un Uomo che non desidera un Mondo migliore… per se stesso e per gli altri, è lo scopo ultimo di questa nostra attuale presenza fisica in questa dimensione. Quindi, solo cambiando radicalmente la nostra vita attuale, possiamo riuscire modificare le nostre vite future… legate alle impronte karmiche che generiamo e che a loro volta sottostanno alla legge della causa-effetto. Ciò che va oltre è l’universalità che lega ogni Essere Vivente, indistintamente dalle razze, culture, religioni… tutti senza distinzione siamo parte di quest’Energia generata da tempo senza inizio. Tutti abbiamo diritto alla felicità, impariamo allora ad aiutarci vicendevolmente a riscoprirla nel nostro intimo cuore spirituale dove l’Anima/Mente risiede.
    Perdonatemi… ditemi se i miei pensieri possono aiutare le vostre emozioni a “sciogliersi” dentro di voi…
    Serenità :-)claudine

  8. CristinaKhay ha detto:

    -La somma dei dolori possibili per ogni anima è proporzionale al suo grado di perfezione-

    Nemmeno per sogno Lorenzo, permettimi di dissentire, è una visione -oserei dire- di stampo ecclesiastico…. Il dolore che purifica…?
    Il dolore è dolore e basta, può far riflettere, ma, come dice saggiamente Dalila, a meno che uno non sia masochista quando si trova nel dolore cerca in tutte le maniere di uscirne …;)
    Non c’è perfezione nel dolore, ma solo sofferenza. Che poi la sofferenza spinga a cercare di ricreare l’armonia perduta… ecco, questo è il vero valore del dolore, la sua vera nobiltà sta nel non averne alcuna..
    Ormai abbiamo passato la soglia del 2000 è non è più possibile affrontare gli argomenti solo da un punto di vista…
    La nuova filosofia per essere veramente utile e non solo una circonvoluzione di pensieri deve poter comprendere nozioni di psicologia, sociologia, biologia, fisica quantistica e tutto quello che potrebbe intervenire per dare una visione il più possibile completa dell’argomento. Tu mi dirai: ma allora non si parla di filosofia ma di altra cosa, e in un certo senso è vero. Ma guardare un oggetto con un occhio solo non è come guardarlo con due, e quello che interessa chi ha sete di conoscenza è “conoscere” nella maniera più completa possibile.
    Potrei dirti che : Il sistema energetico umano è primariamente di natura elettromagnetica e la causa di ogni emozione negativa, madre di tutti i dolori anche fisici, è una interruzione nel sistema energetico del corpo e già questo basterebbe a trasformare la connotazione poetico-epica-purificatrice del dolore della tradizione sociale e religiosa…
    Insomma, il dolore lo percepiamo tutti come qualcosa che non va, non ci sono dubbi su questo. Il fatto che non riusciamo a liberarcene non fa di noi dei colpevoli e nè dei martiri, ma semplicemente degli ignoranti del nostro funzionamento interno.
    🙂

  9. DomusLaurentii ha detto:

    ringrazio chi mi ha preceduto, in questa discussione, perché ha portato al mio quesito, tanta “materia” su cui dialogare…
    è stato affrontato nei vari versi questo dolore…
    è stato portato su livelli extrasensoriali..
    tutto condivisibile, e interessante per il proseguo del dibattito, quando dovremmo sintetizzare il tutto…
    non vorrei però che si perda di vista il mio “nocciolo” della questione…
    il dolore è soggettivo….o oggettivo…
    come misurare il dolore…
    esiste il dolore perfetto…
    Claudine, Cristina, Dalida, ne hanno dato la loro significazione…
    Ma non voglio assolutamente entrare nel nozionismo del dolore…
    È poco importante di quale dolore parliamo…
    Parliamo solo e soltanto del dolore..
    Quello che si oppone al piacere..antitesi estrema…
    È il DOLORE…
    Il dolore è uno stato affettivo indefinibile per la sua semplicità, che si presenta come dolore fisico, cioè come sensazione penosa più o meno localizzata o come dolore morale.
    Nella filosofia il dolore è considerato dai Greci come uno ostacolo alla felicità cui l’uomo aspira naturalmente, come qualche cosa di ostile che deve essere eliminato con ogni mezzo, mentre il Cristianesimo ha sublimato il dolore che diviene mezzo di purificazione e di elevazione morale..
    In questo sentiero si svolge il nostro “delirio” di comprensione del dolore…
    È il dolore…

    Approfittando delle festività pasquali, una sera ho voluto telefonare a mia cugina, quasi a me coetanea, afflitta da tre anni da tumore in evoluzione metastasica…inziò dal seno, per poi andare ad una anca, e poi alla gola…
    Ma sempre davanti a questa situazione, lei ha voluto affrontare il dolore con il piacere..
    Un nuovo amore, la cura del corpo, la cura dell’anima scrivendo un libro…
    Sempre con la speranza che quel livello di dolore fosse l’ultimo..
    e tanto dolore fisico e morale…
    Quel giorno che l’ho chiamata ero particolarmente incazzato…
    Parlai un po’ con lei, le chiesi come andava, aveva perso un po’ di smalto…ma cercava di essere guerriera…
    Mi racconto delle sue cure…e del suo dolore..
    E poi mi chiese…
    E tu Lorenzo come và?
    Io stavo per partire e dire tutte le cose che mi stavano angosciando in quel momento…e mi bloccai..
    Un silenzio profondo mi prese…
    E così le dissi…il mio dolore….non è nulla di fronte al tuo…
    Cara Rosa…io sto molto bene…
    Lei sorrise…e mi raccontò appunto la difficoltà di dover condividere il proprio dolore con persone parenti ed amici, la cui soglia di dolore era completante diversa, ma per loro era il loro dolore il vero…
    C’era un relativismo percettivo incredibile nel dolore, anche suo padre…che ama molto la figlia…spesso si perdeva nei suoi dolori…egoisticamente..e irriverente al dolore della figlia…
    È così che quel dubbio che da tempo mi prendeva si fece “scoglio”..
    Come misurare il dolore?…
    Il dolore è soggettivo…
    E una cosa che riflettevo stamane ascoltando adolescenti amiche di mia figlia, che questo senso di soggettività poi si esaspera con gli anni…
    Nei giovani questa differenza c’è ancora, ma non è marcata come negli adulti..e spropositata con gli anziani…
    Qui pensavo che incide molto, l’aumento del dolore della paura della morte che con gli anni diventa sempre più prossima.
    Ecco il dilemma….ma come allora convivere con i diversi gradi del dolore…
    “facile a disprezzarsi è ogni dolore; breve la durata di quello che ha forte la pena, mentre è blanda la pena di quello che dura nel corpo” diceva Epicuro

    Anche questa è una misurazione….

    Il dolore perfetto?

    Io sento che esiste, ma non so dimostrarne l’esistenza stessa..
    Mi sembra, che per quanto riguarda il dolore fisico, tempo fa lessi la scaal del dolore, e mi impressionò che al primo posto c’era il dolore della colica biliare, e poi il dolore dei denti…e così via…
    E per il dolore morale?…
    È un bell’ingegno affrontare il dolore con dolore…
    Anche se anche io concepisco la biunivocità piacere-dolore perversa ed affascinate…
    E una mia tesi, riportata nel mio lato di “presuntuoso-scrittoredipoesie” tratto il dolore perfetto, quello che da piacere…e il piacere perfetto quello che da dolore…
    Ma di questo…e del collegamento con il piacere, ne parleremo in altra occasione…
    Il dolore…
    È anche esperienza…
    Se per la cristianità esperienza purificatrice
    Per Fedor Dostoevskij nel suo romanzo I Demoni…”per un dolore vero, autentico, anche gli imbecilli sono diventati qualche volta intelligenti….questo sa fare il dolore”
    E allora?
    Mi sembra che la spirale sia sempre più perversa…
    Quindi non resta che oggettivare il dilemma….
    È cosa giusta cercare di capire PRIMA di tutto il dolore altrui…per misurare il proprio…per valorizzare il proprio..
    Non è questo semplice “agape”…ma senso di vita, più vicino alla realtà effettiva, e non illusoria che la soggettivazione e l’esasperazione dell’ego conduce…
    Non contesto le argomentazioni di Claudine e di Cristina, sulla soggettività e sul fattore karma…
    Ma in questo livello di ragionamento ho bisogno di estrapolarmi dall’impotenza umana di affrontare il problema, certo che Claudine da il senso di tempo e spazio che diluisce e modula l’effetto dolore…
    Ma resta il fatto, che tutto è misurabile in questo mondo…
    È solo necessario trovare l’unità di misura…
    Non è detto che bisogna per forza trovarlo ora, in questa Domus…

  10. DomusLaurentii ha detto:

    #Cristina

    “la somma dei dolori possibili per ogni anima è proprzionale al suo grado di perfezione” di Henri Frédéric Amiel tratto da “Frammenti di un diario intimo”

    H.F. Amiel
    Nato nel 1821 a Ginevra (morì a Ginevra nel 1881 di asfissia), professore di estetica e poi di filosofia presso l’Accademia di Ginevra, studioso di Rousseau, va ricordato soprattutto come autore di un Diario (Journal) di oltre 17 mila pagine, in cui scava con parossismo i propri moti psicologici. Scrisse anche poesie di stampo romanticista (Grani di miglio, Grains de mil, 1854) e saggi (sulla letteratura della Svizzera romanza, su Rousseau, su autori contemporanei ecc.), un volume sui principi generali della pedagogia ecc. Il suo “Diario” fu pubblicato sparso postumo: nel 1884 con il titolo di Frammenti di un diario intimo (Fragments d’un journal intime), poi una edizione ampliata nel 1922, e nel 1927 un nuovo volume di confessioni con il titolo Philine. Il gusto analitico di Amiel, con la sua inesausta indagine dei propri moti psicologici, delle proprie debolezze, dei ‘sogni’ di uomo negato alla vita pratica, incapace di soffrire le imperfezioni del reale, corrispondono a un gusta decadentista: non a caso la pubblicazione del “Diario” soprattutto negli anni ’20.

    non mi sembra che sia un approccio religioso…
    e il mio triangolo affascinate “dolore-anima-perfezione” è inteso nel seno di perfezione in modo molto diverso…
    per farti comprendere meglio…
    è in un certo senso come l’estasi sta al piacere…
    sublimazione in termini di anima, non prettamente religioso..
    e noi che ne parloamo spesso, specie in altri lidi, come la poesia, come il mio concetto di tracce…non si vuole intendere come processo mistico…o religioso…

    la perfezione che intendo io…
    è un pò diversa…
    che dire…
    basta vedere la perfezione della geometrai e della matematica per esempio…
    ma non è questo…
    è un asintoto…
    cara Cristina…
    quel percorso che tende…

  11. CristinaKhay ha detto:

    Dunque vediamo…parli di misurazione…
    Sicuramente la tua formazione scientifico-matematica ti è di notevole aiuto nello stabilire il metodo per questo compito…
    Provo quindi anche se non è il mio campo, a chiederti se ritieni possibile che si possa fare un grafico che tenga conto dell’età, dell’intensità del dolore che si suppone sia possibile provare, che tenga conto di una fascia centrale comune dove la percezione del dolore possa se non intersecarsi, almeno accostarsi a quello dell’altro…
    Aiutami… come si potrebbe meglio definire ed ideare questo esperimento?
    Si arriverebbe così ad avere dati più chiari sulla percezione del dolore? ( perchè è di questo che si parla vero? non delle cause del dolore…ma della sua percezione…)

  12. CristinaKhay ha detto:

    Claudine:
    Generalmente crediamo che le cose che percepiamo nei sogni siano NON reali mentre le cose che percepiamo quando siamo svegli siano vere, ma in realtà ogni cosa che percepiamo è simile al sogno nel senso che è semplice apparenza alla mente.

    E’ molto bello quello che dici Caludine, perchè ripercorre pensieri e convinzione che sono anche mie…
    Il pensiero crea I MONDI… e non uno solo…
    Crea tutti i mondi nei quali siamo consapevoli ( anche quelli immateriali alla veglia, tipo il mondo onirico…che però ha una sua materialità ben definita all’interno del sogno stesso ) e anche quelli che creiamo in maniera inconscia.
    La metafisica non è più una nebulosa e utopica ispirazione… dalla fisica quantistica alle ultime scoperte sul DNA ci avviciniamo ad una comprensione tanto più vasta quanto specifica del funzionamento della nostra mente e, parallelamente, degli Universi. Le due cose sono strettamente connesse, frattali della stessa matrice. Mi piacciono molto i tuoi interventi 🙂

  13. TerribileStella ha detto:

    La somma dei dolori possibili per ogni anima è proporzionale al suo grado di perfezione

    Mi suona un po’ come il vangelo che dice che le prove a cui Dio ci sottopone, sono proporzionali al nostro grado di tolleranza e sopportazione… Dio non ci sottopone a soffernza che non possiamo sopportare…

    Ora, non volevo entrare in ambito religioso, ma questa frase mi ha fatto scattare subito questo ricordo di catechismo.
    Forse c’entra o forse no.

    Il dolore è vero, è avvertito da ogni singolo individuo, quindi la soglia di sopportazione è spesso soggettiva, ma questo non ci rende immuni dal dolore degli altri e dalla percezione di quel dolore in modo oggettivo.
    Purtroppo credo dipenda molto dalla sensibilità di ogni persona, di certo sarebbe molto più lieve il dolore personale se si potesse veramente paragonare al dolore degli altri, quantomeno per coloro che soffrono troppo facilmente.
    Credo che la sofferenza latrui sia assorbibile tramite un’intensa conoscenza di chi affronta il dolore in quel momento. Forse del dolore di un amico si riesce a sentirne qualcosa anche se non è direttamente nostro.

    Il dolore FA PAURA, sia fisico che psicologico. E’ un’emozione fortissima e negativa, che però cessando, fa risaltare lo star bene.
    Quindi paradossalmente diventa parte integrante del bene.

    c’è chi riesce a essere oggettivo, io purtroppo molto poco.

    Lucy

  14. DomusLaurentii ha detto:

    #Cristina
    come sovente capita in una discussione si prende una parola e se ne fa una tesi “monologa”..
    il mio è dubbio…non certezza..
    e non creda che in questa discussione IO voglia per forza di cosa trovare una formula..
    e nemmeno la mia preparazione tecnica mi farebbe pensare a questo..
    è la socialità della mia opinione che mi mette questo quesito…
    e non la conclusione…
    non pretendo assolutamente la condivisione in ciò che dico, ma il confronto…
    perchè come ho spiegato è una sensazione che ho provato davanti ad un “insieme” di dolori che nel confronto hanno creato questa reazione…
    la mia non è VERITA’…come non lo è la tua…
    qui si discute…
    soltanto…
    guai a pensare ad altro..
    TERRBILIS IS LOCUS ISTE…
    forse ti sta sfuggendo, che non serve “l’applicazione della teoria del branco qui”…
    ma solo libera opinione…anche se questa libertà di opinione può portare vedute diverse…

  15. CristinaKhay ha detto:

    Lorenzo:
    credo ci sia sia un equivoco…
    il mio era solo un tentativo di concretizzare con creatività quello a cui si tende con queste riflessioni, nulla più…
    Sempre nell’ottica del piacere che dovrebbe sempre accompagnare ogni escursus nella conoscenza…
    Non ho detto che la tua è la verità…come non lo è la mia…
    E nel rispetto di questa posizione mi ritengo libera di poter sperimentare, provare, confrontare tutte le tesi qui esposte, se possibile anche con altri strumenti oltre che con il pensiero…
    Non hai chiesto tu una formula… la sto chiedendo io a chi vuole cimentarsi, prendendo te come spunto, pervasa dalla curiosità… 🙂
    Oggi fuori c’è un sole così bello che fa venir voglia di fare una bella pedalata…
    Sembra che finalmente la primavera si sia decisa a sbocciare.
    ( Tra una pedalata e l’altra proverò a capire come fa mia madre costretta in casa da 5 anni dalla malattia ad avere sempre il sorriso sulle labbra… l’adattabilità al dolore credo faccia intravedere almeno in questo una soluzione di continuità… l’accettazione, pur di vivere, anche se male.)
    Spero che la luce sia splendida anche dalle tue parti, ti auguro una domenica speciale 🙂

  16. CristinaKhay ha detto:

    Lorenzo ( e poi non intervengo per una settimana :))) ),
    anche per Lucy, perchè anche lei riporta un pensiero simile:

    È cosa giusta cercare di capire PRIMA di tutto il dolore altrui…per misurare il proprio…per valorizzare il proprio..

    Credo sia impossibile da applicare… il termine di paragone è sempre la propria esperienza… Si può provare a capire, il dolore altrui, ma sarebbe solo un riflesso… La percezione del dolore altrui è stata meravigliosamente sintetizzata da Pessoa:

    Il poeta è un fingitore.
    Finge così completamente
    che arriva a fingere che è dolore
    il dolore che davvero sente.

    E quanti leggono ciò che scrive,
    nel dolore letto sentono proprio
    non i due che egli ha provato,
    ma solo quello che essi non hanno.

    E così sui binari in tondo
    gira, illudendo la ragione,
    questo trenino a molla
    che si chiama cuore.

    Dalida:

    Per quel poco che conosco delle grandi religioni monoteistiche in buona parte di esse ci deve essere la sofferenza terrena o per il raggiungimento del paradiso o per l’elevazione dello spirito

    Amica mia, la mia terribile sensazione è che l’uomo si sia abituato ad anestetizzare il dolore anche raccontandosi incertezze come queste per via della sua presunta impotenza ad eliminarlo… Dico presunta perchè è una convinzione limitante….e purtroppo i sistemi di pensiero religiosi sono fondati sulla limitatezza del pensiero, dell’azione, della libera sperimentazione umana…
    Concordo con tutto il tuo intervento.

  17. claudine2007 ha detto:

    Mi accorgo che la spiritualità (nel suo più profondo senso) a volte è purtroppo fraintesa… come può essere fraintesa anche una filosofia che non è molto consona ai valori del nostro status vivendi contemporaneo, semplicemente poiché viene concepita come “esotica” (cito l’esempio del buddismo… o altre linee parallele quali lo zen)… mi riferisco all’intervento di Dalida.
    Cresciuti nella convinzione del cristianesimo, abbiamo focalizzato ciò che avvolge il misticismo ecumenico, fatti nostri i dogmi imposti, seguendo quindi un’abitudine di generazione in generazione. Ma tralasciamo le i piani post-vitae che forzatamente ci vedono patire ulteriori sofferenze e dolori in un dantesco purgatorio o inferno…
    Premetto: sono cristiana, battezzata e rea-confessa nel non voler sottostare a questi Principi assoluti voluti dalla Chiesa… Mi sento quindi uno spirito libero e permetto alla mia Mente di trovare le Tracce che possono contribuire alla sua crescita spirituale.
    A volte mi chiedo ma è veramente monoteistica la nostra religione cristiana? Nella sua Trinità, non vi è forse parvenza di scissione da questa forma essenziale, tenendo anche i considerazione i vari Santi… (senza entrare nel dettaglio del “perché” vengono celebrate le feste del Santi cristiani in specifiche date che null’altro che sono le ricorrenze consacrate a deità pagane).
    Non sono dotta in materia, sorridendo mi permetto di ricordarlo, dacché i miei interventi sono quelli di un Mente/Anima semplice e poco erudita, sul percorso ed evoluzione terrena… alla ricerca della conoscenza e sapere.
    Per questo, certamente, mi trovo a leggere e contribuire nella Domus di Lorenzo…
    Ricordo che la filosofia che seguo (buddismo) non è una religione politeista!
    Non vi sono altari innalzati ad innumerevoli Dei… e qui, nuovamente devo sorridere poiché sono molte le raffigurazioni del Principe Siddharta Gautama (il Buddha di questo Eone) nelle sue diverse vesti che lo portano ad essere Avalokitesvara, o Vajrasattwa o Herula o altri ancora…
    Ma forse, se possiamo vederlo come nella religione cristiana, anche qui abbiamo una “trinità” espansa (le figure dei diversi Santi)… seppur monoteista, facilmente confondibile col culto di molti dei politeisti.
    Cristina forse pensa che unicamente con la sofferenza terrena, si possa raggiungere la liberazione (cristiana) vista come entrata nel paradiso… ma io posso anche aver mal compreso.
    Per l’elevazione dello Spirito (mi permetto quindi di riconsiderarne la parola appropriata in MENTE/Spirito/Anima) non è necessario dover sottostare alla sofferenza… questa non è La Porta da varcare per permetterci di raggiungere la consapevolezza ultima ed uscire dal contesto di vita-morte-rinascita (samsara). Il dolore e sofferenza non vanno visti come una punizione!
    E qui, errare è umano!
    Ciò che attualmente stiamo passando è unicamente il riscatto di quanto memorizzato nelle nostre impronte karmiche… impronte generate vita dopo vita, rinascita dopo rinascita.
    Perché agonizzare pensando unicamente di poter “anestetizzare” il dolore (mediante incertezze, che possono essere o non essere di carattere religioso o anche solo concettuale)? Buona considerazione!
    Certamente se ci prostriamo al problema con rassegnazione e limitatezza… restiamo in fondo alla scala. Il Dolore è l’essenza della Paura più profonda… l’emozione psichica risvegliata è legata alla sensazione fisica provata. Il Dolore è terribile, ci rende vulnerabili, ci permette di reagire a livello corporeo onde evitarlo.
    Per che segue la filosofia buddista il dolore è lo scotto, la summa, una sorta di codex vitae accumulato nelle precedenti esistenze… e ciò che compiamo in questa esistenza terrena, verrà a maturazione nelle prossime vite!
    Non vi è quindi una reale impotenza/impossibilità ad eliminarlo… ma bisogna forzatamente smetterla di sentirsi vittime inette… bisogna reagire, ampliando appunto la propria (cito) “limitatezza del pensiero – azione e libera sperimentazione umana“. Dobbiamo modificare il nostro modo di pensare, di agire, di affrontare l’esistenza nella quale ci troviamo nostro malgrado.
    Credetemi, a noi (parlo di chi vive in Italia o altri paesi definiti “benestanti”) è data la possibilità della scelta! Chi si trova a vivere in luoghi devastati dalla carestia e malattie, dai conflitti politici, ecc. vegeta rassegnandosi alla sua condizione miserabile…
    Avendo percorso le Strade del mondo (principalmente per ragioni di lavoro), posso garantire di avere toccato in prima persona anche queste realtà!

    Non si evangelizza il Dolore e la Sofferenza… la proporzionalità non è dunque legata al grado di tolleranza e sopportazione del singolo individuo. Ciò che in questa esistenza metafisica esperimentiamo è il riflesso della legge della Causa-Effetto.
    Nessun Dio è tanto malvagio (concordo con Lucy) da sottoporci a tali prove… e non viviamo più nel medioevo… le crociate sono da secoli un mero ricordo!!
    Altra bella considerazione di Lucy è il “fattore di poter effettuare un paragone con il dolore degli altri” mentre Cristina cita Pessoa e non posso che concordare con questo distillato di rigore (ma io che adoro i poeti… quelli Veri 😉 mi trovo a però dissentire sul fondamento del “reale coinvolgimento” che può un essere provare per un altro essere… (potrà venire ampliato in altra sede).
    Anche Lorenzo, parlando della sua esperienza in riferimento al tumore maligno di sua cugina, ha portato ad un’analisi importantissima!!! Unicamente confrontando il “nostro” proprio dolore con il dolore di altri Esseri viventi possiamo renderci conto dell’impatto che la “nostra” sofferenza abbia in riferimento alla sofferenza di tutta l’umanità.
    E per quanto paradossale possa essere, solo quando meditiamo su questi concetti, ci rendiamo conto di quanto sia importante il “sentirsi bene”!
    Solo quando stiamo male, solo quando proviamo dolore… il nostro pensiero è rivolto all’importanza della salute… del raggiungimento della felicità.
    Capisco perfettamente che nel nostro essere unici, umani, sensibili… sempre tendiamo a valorizzare ed ampliare ciò che direttamente ci concerne. E’ una forma di attaccamento al sé… o di egoismo, se vogliamo essere più incisivi.
    Tutt’al più ci emozioniamo o proviamo compassionevolezza quando un caro amico o un famigliare è gravemente ammalato…
    Ma cosa pensiamo rivolgendo la nostra Mente all’intera Umanità che soffre?
    Le consueti frasi tipo: – so cosa provi – , – ti capisco, ci sono passato pure io – , – posso utilizzare l’empatia – …
    Queste mi suonano mere considerazioni “distaccate”, è difficile veramente “assorbire tramite un’intensa conoscenza” (come con dolcezza ci suggerisce Lucy) il dolore degli altri!
    Ma se riusciamo a fare nostro questo dolore, consapevolmente ogni nostra afflizione assume altre proporzioni. E’ la grandezza della generosità ed amore verso gli altri. Una predisposizione che si può acquisire… e che può portare a miracoli!
    Sono certa che gli interlocutori di Lorenzo conoscono lo scrittore tedesco premio Nobel H. Hesse. Spiritualità, filosofia e psicoanalisi sono rintracciabili in ogni suo romanzo in un perfetto connubio… vi consiglio la lettura di Siddharta, scritto un’ottantina d’anni or sono. Il messaggio mistico-metaforico è di grande impatto, una lettura che potrà non solo aprire la Mente a considerazioni “estranee alla nostre radici legate alla cristiana”… e qui non voglio vangelizzare o portare la discussione su di un piano teo-filosofico, Lorenzo chiedo nuovamente venia!
    Buona settimana in serenità e pace… con la vostra Mente/Anima :-)claudine

  18. neraorchidea ha detto:

    E’ una modulazione dell’anima il dolore perfetto, un tempo immobile del cuore, si rincorre all’infinito illuso di perdersi e ritrovarsi, divino e mortale, quasi un’ultima vittoria nell’azzardo del non sapere, è un deserto da percorrere sotto il sole senza morbide palme di riviera, sono le onde invalicabili dell’oceano, l’istante prima e’ quello dopo, è ombra quando gridi per vedere la luce, è sole quando cerchi il buio. E’ un cerchio languido che si apre a dismisura fino ad inghiottirci, dolente col nostro ego, una strana via di mezzo tra una caccia al tesoro e una grande illusione. Cresce piano, ronza in silenzio, ci sfarfalla sul cuore senza pace, subdolo, cattivo, è una reggia celeste col sole che batte tra gli sterpi, un’ape che ronza fino ad entrarci dentro, ridicolo e spaventoso, chiaro di tempo, ci toglie il sorriso in un imponderabile futuro, in un passato incancellabile,in un presente inopponibile. E’ una stella e un sentiero al contrario, qualcosa a ritroso e senza ragione, da misurare col nostro metro, irremovibile nel suo destino senza principio. Ci prende alla sprovvista, ci scompiglia, togliendoci voglie e piccole felicità, un satrapo cattivo sempre uguale, il primo giorno come l’ultimo, una bambola bellissima che ci portiamo a letto alla sera senza poter fare altro perché lei è già lì, è gia’ quel tempo che abbiamo dentro quel dolore che non cammina lineare, ma a ritroso in una danza di folli. Ubriaco, si riempie di uno strano rumore, un grande gioco oltre e sopra di noi,debole, alla rinfusa, in quel bussare a mezza voce, un triste compagno di viaggio minuzioso e preciso che ci inganna nella sua bellezza sfumata e ci copre di paure. Ci fa perdere strade, sorrisi, promettendoci un domani con la sua presenza, la vita incrinata, assurda e inutile.
    Poi all’improvviso si maschera di neve, trasuda leggero sulla pelle, ci comincia a seguire da lontano, furtivo, nell’ombra, grottesco, più lieve intersecato con il nulla, ci copre di vuoto, di giorni senza nessuna voglia, ci ingurgita piano in notti bianche cieche, senza limite e conforto, diventa sibilo,bisbiglio, poi il nulla. Solo una quiete di vivere, una foglia che trema. E’ qualcosa che si perde, non cade, non vola,rimane semplicemente lì, a metà, a ricordarci che non abbiamo né vinto, né perso,ma che siamo stati acrobati per un momento.
    E in quell’istante abbiamo volato.

  19. TerribileStella ha detto:

    Cristina
    “Il poeta è un fingitore.
    Finge così completamente
    che arriva a fingere che è dolore
    il dolore che davvero sente”

    Ma lo sai che è vero?
    Io che scrivo poesie, me ne rendo conto che è proprio così.

    E’ altrettanto vero quello che dici, che non è fisicamente possibile paragonare il dolore altrui su noi stessi, che non lo si comprende MAI completamente, poiché la misurazione del dolore viene presa sulla propria soglia.
    Ma aiuterebbe a lenire un po’ il nostro dolore, se riuscissimo a guardare il dolore altrui.. ( mi ci metto per prima a dire che non ci riesco)
    TS

  20. PostIda ha detto:

    Non c’è nulla di meglio di un week end in una beauty farm, immersa nel verde del Vulture ove alle cure del corpo ho coniugato quelle dell’anima, grazie a straordinari ed efficacissimi trattamenti omeoterapici: musiche, massaggi, luci soffuse che saettavano fra aromatiche essenze naturali, idroterapia, sauna…
    Mi sono lasciata coccolare da mani e sguardi esperti, non fosse altro perché volevo concedermi un regalo…in fondo me lo meritavo da tanto.
    Tuttavia, come tutte le cose belle, anche il mio week end è destinato a finire, quindi torno a casa e si spezza d’improvviso quell’atmosfera disincantata e magica, nella quale mi sono rifugiata per due giorni.
    Entro in salotto: il solito disordine, la confusione certosina di quest’uomo finirà per snervarmi; eppure sono anni che ci “ sto” insieme, dovrei abituarmici.
    Non ha dato l’acqua alle piante grasse, come al solito e i suoi appunti sono sparsi dappertutto. Tocca a me rimetterli a posto ed il mio sguardo cade, inevitabilmente, sulle solite contorsioni cerebrali sulle quali spesso e volentieri si sofferma a riflettere e a mettersi in gioco.
    Stavolta ha scelto il dolore e la mia mente, elevata e dotta come dice qualcuno, se ne va ai miei ricordi di scuola:
    Il termine dolore nasce da una varietà di significati, che derivano dall’etimologia della parola, nelle varie lingue. Infatti, dolor ( latino) deriva dal sancito dalati= spezzare, scorticare, quindi riferito ad un evento fisico che lo provoca. Diversamente la parola pain ( anglosassone) deriva da poena= punizione, purga, purificazione.
    In ambito filosofico, nella prelogica, il dolore fisico e quello spirituale sono strettamente collegati, tanto che i popoli primitivi consideravano il mago curatore di entrambi i tipi di dolore.
    La moderna psicologia medica ha dimostrato, nell’esperienza del dolore, un’intima connessione fra mente e corpo, infatti la generica definizione del dolore fisico è : >, riconoscendo un carattere sensoriale conoscitivo, diverso da altre sensazioni, come quelle tattili, termiche, etc…, perché collegato ad un elemento emotivo.
    Tralasciando gli studi sperimentali della fisiopatologia, dell’anatomia e della psicosomatica ( per ragioni di sintesi), mi piace soffermarmi sullo studio fenomenologico della sofferenza dolorosa, che vede una profonda differenza fra dolore fisico e dolore spirituale.
    Il dolore spirituale ( tristezza, vergogna, rabbia), anche se è molto intenso, è accettato e compreso, come qualcosa che appartiene al nostro IO, come un nostro problema intimo, al quale non possiamo ribellarci, senza negare la nostra personalità.
    Nel dolore fisico, invece, vi è un istintivo moto di ribellione, quasi di ripulsa, verso qualcosa di estraneo al nostro IO.
    Da ciò è chiaro che il significato del dolore fisico è legato alla difesa, per allontanare uno stimolo nocivo al nostro organismo.
    Se poi, come ha accennato qualcuno negli interventi precedenti, viene operata una modificazione dell’attività psichica, è possibile produrre particolari reazioni psicogene ( si veda l’ardore degli eroi e dei martiri), oppure particolari tecniche di suggestione ( come nei casi di completa insensibilità dei fachiri).
    Altra cosa sono, invece, le esperienze dolorose derivate da cause psichiche, in cui si osserva che un dolore spirituale è la vera causa della sofferenza somatica ( in psicoanalisi viene chiamata conversione).
    Ora, la considerazione che io faccio, alla luce di questo nuovo argomento, è che dobbiamo cercare nel profondo della mente ( che è parte del nostro corpo, percepito nella sua totalità) come dice Schopenhauer, poiché è proprio lì che l’uomo sente e viene a contatto con la volontà.
    Ogni corpo percepisce e si identifica con la volontà di vivere, che è quell’impulso irrazionale ed emotivo che si trova in tutti gli uomini, per questo il corpo è lo strumento usato dalla volontà per oggettivarsi.
    Corpo e volontà vengono quindi a coincidere, in quanto dove vi è un corpo vi è sempre una volontà (“la volontà è la conoscenza a priori del corpo, il corpo conoscenza a priori della volontà”).
    E’ da questo rapporto inscindibile che, sempre secondo Schopenhauer, nasce il dolore esistenziale.
    La volontà, infatti, ha come caratteristica necessaria l’infinità e l’assolutezza, mentre il corpo, essendo soggetto alle leggi del mondo, non può che essere limitato e mortale.
    La volontà desidera continuamente e incessantemente: il corpo non potrà mai soddisfare tale necessità, in quanto mortale e soggetto a deperimento.
    Il dolore nasce dalla presa di coscienza di questo conflitto: l’uomo si rende conto di non poter fare a meno di desiderare, senza un particolare scopo che non sia il desiderio in sé.
    Dice ancora il filosofo di Danzica: il dolore è la condizione basilare dell’uomo, il quale, essendo soggetto alla volontà, non può fare a meno di desiderare e quindi essere insoddisfatto, è in questa insoddisfazione che si scopre la causa del nostro dolore. Al contrario del piacere, che è la condizione umana più sfuggevole e breve della nostra esistenza, infatti essa esiste solo in quanto appagamento immediato della nostra volontà. Ciò che segue al piacere, ossia la mancanza di una volontà impellente, è privazione di dolore, infatti riporto testualmente un famoso passo del filosofo che, in un‘apoteosi di pessimismo, ebbe a dire: >.
    Niente male come interlocutrice eh?
    Beh, a me se viene naturale interagire su certe questioni, non già per dare sfoggio delle mie competenze…poi, se a provocarmi c’è questo diavolo d’un uomo che smette mai di porsi e porre domande, il gioco vien da sé.
    Talvolta, però, non si rende conto che rischia di ferire qualcuno, specie quando scava nel profondo di certe sofferenze ataviche, troppo personali ed intime per essere sciorinate dinanzi a tutti, senza risvegliare latenti piaghe mai guarite ed ancora sanguinolente.
    Esco dal salotto e le chiudo le imposte: troppo sole finirà per sbiadire questi colori sgargianti.
    Lascio che entri appena appena un refolo di sole, che riscaldi l’aridità che mi avvolge qui dentro.

    Mi perdonerai, Lorenzo, se stavolta ho scelto una forma di interazione a me più congeniale, quella prosastica, per la quale sai bene quanta passione e quante energie io riesca a profondere.

    Buona giornata e buon inizio di settimana.

    Carmen

  21. DomusLaurentii ha detto:

    #21 21 Aprile 2008 – 10:05

    La poesia di Pessoa secondo me, non riguarda tanto il dolore, ma come ha sempre sviluppato nella sua vita di poeta e di letterato, l’arte stessa del poeta di fingere, il funambolismo del poeta, che sa incantare con le parole i lettori..

    Ritorno però a un argomento scivolato pian piano nella discussione e che ogni tanto blocca la fluidità del contendere il fenomeno religione, ed in particolare la religione cristiana davanti al dolore.
    Questo concetto è abbastanza serio, da prenderne qui solo sotto alcuni aspetti, in quanto meriterebbe un approfondimento particolare.
    Qualcuno a proposto diceva che la religione era l’oppio del popolo.
    Come il concetto cristiano del dolore è in effetti un lenitivo psicologico del dolore.
    In effetti…ce ne sarebbe da dire..
    Mi riservo in altra sede.
    Ma resto il fatto che dolore (assoluto) ovvero evento che crea sofferenza all’individuo, per ragioni di salvaguardia dell’esistenza debba in ogni caso, o meglio nella maggior parte dei casi, essere lenito.
    E da che?
    Nel fisico…da antidolorifici…da capacità psicologiche di sopportazione di un dolore, da assuefazione del dolore
    Nello psichico? Ahi…e qui che il problema esplode…
    Alcune religioni come la cristiana danno un rimedio di fede…
    Placebo?
    E allora?
    Importante come si diceva nei machiavellici riunioni aziendali…importante sono i risultati…
    Ora vorrei ricordare ai numerosi ospiti di questa Domus, che in discussione non è proprio il rimedio contro l’eliminazione del dolore, ma di più la comprensione del dolore, e quindi la convivenza…cosa questa che ci dovrebbe portare poi alla soluzione del dolore.
    Io credo al contrario di Cristina che ogni mezzo è lecito…per combattere il dolore.
    Non esiste presunzione, anche se resta una religione, è una impostazione di fede..
    Ma se qualcuno va per gli ospedali, o ha avuto la fortuna di andare a Lourdes o Fatima, o in località simili e più vicine…vedrà quale mistero comporta la fede, in termini di lenimento del dolore.
    È la volontà, come diceva molto bene (e come al solito) la nostra cara Carmen..
    Ripeto tutto è lecito.
    In quei posti forse si crea solidarietà maggiore in un contesto di dolore.
    Anche se io ho qui dei dubbi.
    Perché penso che il dolore resta un evento strettamente soggettivo, e quindi incommensurabile in termini assoluti.
    È questo il mio dilemma…
    Ma per arrivare a qualche chiarimento in proposito, sia esso negativo o positivo…
    È necessario questo scambio di opinione sul dolore..
    Il dolore si stenta a definirlo…è inutile che ce la raccontiamo…
    Sentiamo il nostro, ma stentiamo a sentire quello degli altri…

    La religione cristiana cara Cristina non dice che bisogna soffrire prima di avere la salvezza, ha ragione Claudine…la religione afferma che bisogna avere la percezione della sofferenza però, sia con la sublimazione del dolore, offrendolo a Dio, sia con l’amore…ecco l’agape, che è la consapevolezza del dolore e del bisogno degli altri…
    Altrimenti ritorniamo al medioevo, dove una distorsione della parola di Cristo, faceva popolare i fedeli di flagellanti..
    Certo che anche in questa religione ci sono degli estremismi, come il concetto del cilicio…ecc..ma a quella gente che si fa della fede un fanatismo, proporrei di darsi dolore andando ad aiutare le persone che hanno bisogno, Teresa di Calcutta dovrebbe insegnare, cosa è veramente il dolore e la sofferenza…
    Ma ora torniamo a noi…
    Claudine riprende egregiamente il mio quesito “Anche Lorenzo, parlando della sua esperienza in riferimento al tumore maligno di sua cugina, ha portato ad un’analisi importantissima!!! Unicamente confrontando il “nostro” proprio dolore con il dolore di altri Esseri viventi possiamo renderci conto dell’impatto che la “nostra” sofferenza abbia in riferimento alla sofferenza di tutta l’umanità.
    E per quanto paradossale possa essere, solo quando meditiamo su questi concetti, ci rendiamo conto di quanto sia importante il “sentirsi bene”! “
    Ecco il segreto forse della sopravvivenza, vivere le scale del dolore, che determini di conseguenza delle scale di felicità, di sentirsi bene.
    E dalla capacità di “misurare”il dolore che può nascere la capacità di vivere serenamente la vita, quale essa sia…
    Esternare da vita, per viverne gli aspetti comuni e non solo quelli egoistici..
    Come nel piacere, ma ne parleremo, con un post apposito…
    È più piacere in quello che mi do, o è più piacere in quello che do…?
    E credo che non solo la fisicità, ma tutto lo scenario relativo alla spiritualità, filosofia e psicoanalisi che aiutano a comprendere e vivere questo enorme “evento”

    Una cosa che mi piace di queste conversazioni, è poi trovare o ritrovare, in ognuno degli interventi, la natura dell’autore, non solo in termini tecnici, ma anche comunicativi, ed espressivi..
    Un caso particolare è proprio quello di Tiziana, di cui conosco la maggio parte della sua opera poetica, e dove il dolore ha spesso occupato una posizione importante se non determinante..
    E nel contrasto atavico con il piacere…nel suo cantare eros e pathos..
    Devo dire che spesso nel suo poetare trovo appunto, una ricerca, o meglio una giustificazione in questo dolore perfetto, di cui io “provoco” l’intelletto….
    E il suo intervento, come in quello dell’essere e dell’esistere, rivela, come la poesia è spesso traduttore come diceva Pessoa, come ci ha ricordato Cristina, dei tormenti umani.
    E il dolore che accompagna la poesia, e la poesia che si fa vento del dolore.
    Anche se in questo brano molto bello, si percepisce la rassegnazione del dolore, la consapevolezza del viverne l’oppressione e la personalizzazione..
    Anche se nelle varie definizioni, metaforiche poetiche, l’esplosione del dolore, torna poi al soggetto..senza scala….senza livelli….dolore è DOLORE…ergo sum..

    TerribileStella, è entrata nel tema, in modo completo e comprendo il suo dilemma, è questo che vorrei appunto comprendere..
    La misurazione del dolore viene preso sulla propria soglia, e quindi sa misurare solo il proprio dolore…gli altri…possono stare male…ma il mio conterà sempre di più..
    Questo è il grande inganno è un inganno con noi stessi…
    Non deve comparire la compassione, ma la condivisione…
    Questo è il quibus….

    [Carmen]

    afferma Carmen riferendosi con simpatica ironia a “moi”
    “cade, inevitabilmente, sulle solite contorsioni cerebrali sulle quali spesso e volentieri si sofferma a riflettere e a mettersi in gioco”
    merci madame….

    Carmen, tirata e riposata, lucida e profumata, ci riporta al “rigore” mentale…
    E ci da ancora una volta il suo prezioso orientamento…

    Sono d’accordo che dobbiamo cercare nel profondo della mente dove è relegata la volontà.
    Quella volontà che nasce dall’ambizione di vivere in termini non solo soggettivi, la vita..
    Se Schopenauer afferma che il dolore è condizione basilare dell’uomo, e non contesto, confesso che vedo questa affermazione come termine di sopravvivenza…ovvero la capacità dell’uomo di vivere il dolore, proprio e l’altrui..
    Non si scappa dal dolore, quale natura essa sia…
    Quindi non resta che affrontarlo con gli strumenti a disposizione, che la mente dispone…
    Ma Carmen, secondo te, allora il dolore è misurabile….?
    E quale è il dolore perfetto….?

    “Beh, a me se viene naturale interagire su certe questioni, non già per dare sfoggio delle mie competenze…poi, se a provocarmi c’è questo diavolo d’un uomo che smette mai di porsi e porre domande, il gioco vien da sé.
    Talvolta, però, non si rende conto che rischia di ferire qualcuno, specie quando scava nel profondo di certe sofferenze ataviche, troppo personali ed intime per essere sciorinate dinanzi a tutti, senza risvegliare latenti piaghe mai guarite ed ancora sanguinolente”
    Rispondo a questa frase di Carmen, facendomi interprete non solo del mio pensiero, ma penso di molti dei mie ospiti, non credo che nessuno/a pensi a tuoi interventi quale sfoggio delle tue competenze, anzi, posso assicurare la tua discrezione e sforzo di non voler apparire tale…spesso sono io che ti trascino per i capelli nei tecnicismi..
    Penso invece che i tuoi pareri, nella fattispecie di questi argomenti, sono illuminanti, proprio perché vengono da competenza…tranquilla che presto “provocherò” sull’idraulica o sulla politica…ahaha

    Sarà disordinato il mio salotto….ma arido suvvia….
    È solo un po’ caotico e trafficato, come la mia mente…e la luce è polare del pensiero…
    Lascia entrare il sole…i colori sono tali se c’è la luce….
    Le piante sono state scelte grasse apposta…non serve acqua…
    L’acqua agli idraulici…
    In ogni modo..anche questa volta sei stata molto efficace

  22. PostIda ha detto:

    Mi rendo conto, solo ora, che sono saltati due pezzi, che avevo virgolettato. Li riporto, per dovizia:
    1) la definizione del dolore fisico:sensazione con carica affettiva
    2) citazione di Schopenhauer: Dei sette giorni della settimana, sei sono di dolore e di bisogno, mentre il settimo è solo noia

    Carmen

    Ps: appena ho un attimo di tempo rispondo

  23. TerribileStella ha detto:

    Mi viene in mente anche di dire una cosa forse banale e scontata, ma quando altrettanto vera.
    Il dolore è l’unico filo conduttore capace di farci percepire in maniera amplificata il piacere dello stare bene. Tutto ciò che è buono, piacevole e portatore di benessere, diventerebbe monotono e scontato se non ci fosse il dolore a portare la conoscenza della differenza.
    Non risponde al quesito, ma quantomeno ne dà una valida motivazione per la sua esistenza.

    “Quando una mia amica ha temuto di avere il cancro al seno, non ho dormito per i 10 giorni che sono trascorsi tra la biopsia e il suo esito, sentivo un dolore allo stomaco, e mi sono resa conto che stavo sì condividendo in modo molto forte il suo dolore/paura ma altrettanto che mi stavo facendo sotto di paura anche per me che in quel momento non ero la protagonista, ma sul pensiero DEL SE succedesse anche a me.
    quando c’è di mezzo il dolore, emerge sempre il nostro egoismo, che possimo o meno tenere a bada.
    Il giorno che ha avuto le risposte, ed erano buone notizie, quando ho ricevuto il suo sms -è benigno- brividi interminabili mi hanno percorsa, le gambe quasi cedevano e le lacrime scendevano tra i singhizzi più liberatori mai provati.
    Anche la paura del dolore fa soffrire, e quella è stata una delle poche volte in cui HO CONDIVISO un dolore in modo tanto forte. Che dire… ho detto tutto.”
    Lucy

  24. StregaLunare ha detto:

    @Claudine:
    Spesso per darci un sollievo alla mortificazione che dona il dolore, l’essere umano cerca rimedi in tanti percorsi.
    Provengo da un insegnamento religioso Cristiano Cattolico, ma nel corso della mia vita, fino adesso, ho fatto tante ricerche, toccando le sfere anche più assurde per capire la provenienza e il mio sentiero e riscatto.
    Sono legata al culto della Dea, e quindi alla vecchia religione pagana, dove la vita è improntata come nella natura…circolare .: si nasce, si vive, si muore e arriva di nuovo la primavera….dove appare una trinità femminile : la Dea Triplice.
    Non entro in merito a questo discorso perché è fuori tema.
    Quindi mi viene da porti una domanda: se un individuo in questa vita terrena ha un fardello pesante da portarsi è per qualche difetto nelle vite precedenti?
    Perché se non erro più il karma è pesante più lo devi riscattare per una serie di sbagli in qualche vita precedente.

    Per quanto posso ascoltare il dolore degli altri ed ho un lavoro che mi mette in contatto con persone anche terminali, sarò limitata, ma continuo a dire che il dolore non è oggettivo, né quello fisico né quello emotivo.
    Posso captare una sofferenza di tante persone, quasi toccarlo, posso anche piangere ( spesso mi sono scese lacrime nel solo refertare una cattiva diagnosi, anche questo è dolore), ma il mio dolore non sarà come il dolore di un altro.
    Questo lo noto con mia sorella, abbiamo manifestazioni di dolore completamente diverse nonostante lo stesso percorso…
    Sarà per il diverso tipo di visione del dolore o per una maggiore consapevolezza del vivere o nell’affrontare il dolore stesso?

    Nei giovani questa differenza c’è ancora, ma non è marcata come negli adulti..e spropositata con gli anziani…
    Qui pensavo che incide molto, l’aumento del dolore della paura della morte che con gli anni diventa sempre più prossima.

    @Lorenzo: anche nei giovani che hanno già avuto percorsi difficili dove si sono scontrati con un forte atto doloroso ( ho dei casi in mano che mi lasciano senza fiato) rimane dentro, e credo che negli adulti diventi marcato perché cresce in essi.
    Per farti capire e mi tocca di entrare nel personale ( a 22 anni mi sono ritrovata con una vita drasticamente cambiata). Dopo 21 anni di distanza riprovo ancora lo stesso dolore che con il tempo è aumentato.
    Mancanza ?…
    Le mancanze si amplificano con il passar del tempo.
    Per quanto il dolore fisico, un anziano lo recepisce con tonalità più forti, vuoi per il calar delle forze,e per e qui ti do ragione; per l’avvicinamento alla morte

    Tra una pedalata e l’altra proverò a capire come fa mia madre costretta in casa da 5 anni dalla malattia ad avere sempre il sorriso sulle labbra… l’adattabilità al dolore credo faccia intravedere almeno in questo una soluzione di continuità… l’accettazione, pur di vivere, anche se male

    @Cristina: i genitori sono incredibili.
    Ho visto gli occhi di mia madre brillare luce con la morte nel cuore…non so se è adattabilità al dolore, ma forse è un rimediare al dolore che si provoca.

    Dice K.Gibran : Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere.

    E’ un bel concetto, ma arrivarci è arrivare all’elevazione di sé, quindi alla perfezione..ma questo non capita nella vita terrena.

  25. StregaLunare ha detto:

    @Lucy
    Forse credo che tutto quello che tu hai raccontato si manifesti se un individuo ha paura della malattia e/o della morte; pensa un attimo i dottori o gli infermieri che quotidianamente lavorano con persone impregnate di dolore, eppure sono umani con una loro sensibilità.
    Da piccola avrei voluto fare l’infermiera, ma non ho osato perché la sofferenza mi causa sofferenza e non credo che ci si faccia il “ callo” sebbene sia il proprio lavoro, non tutti siamo come il Dr House.
    Anche fare volontariato mi è stato difficile, ho dovuto fare scelte che non portassero al dolore, quindi ho accompagnato persone non vedenti, ma con una salute di ferro…e credimi che da queste persone c’è solo da imparare.

    Dice Lorenzo: comprendere il dolore….
    il dolore si può comprendere relativamente.
    Ogni mattina, quando mi alzo e cammino per strada, o sono in autobus o mentre guido, c’è sempre qualcuno sofferente…allora mi chiedo…perché?
    Posso comprendere il dolore di un bambino seduto su una sedia a rotelle?
    Posso comprendere il dolore che c’è in tutte le parti del mondo?
    O è compassione?
    Non posso sentire quel dolore di quel ragazzino, non sento il suo dolore, lo posso vedere nei suoi occhi, ma non dentro di lui…posso piangere…oh si…so bene come si piange davanti al dolore altrui, anche se non di qualche conoscente…è il cuore che si piega, è l’anima che rimbomba… o/è solo sensibilità?
    Tante sono le domande che mi pongo e poche sono le risposte che ho, sebbene la ricerca è sempre costante.

    Talvolta, però, non si rende conto che rischia di ferire qualcuno, specie quando scava nel profondo di certe sofferenze ataviche, troppo personali ed intime per essere sciorinate dinanzi a tutti, senza risvegliare latenti piaghe mai guarite ed ancora sanguinolente.

    @ Carmen: i tuoi interventi sono sempre apprezzati…
    Come darti torto?
    A volte il dolore si risveglia con un nun nulla…quante volte capita che parlando del più e del meno si arriva a toccare sfere senza volerlo e si rimane pietrificati tanto che non si sa più come interagire…a volte fa male, a volte fa bene…a seconda del momento, del tempo che c’è fuori ( spesso si da come scusante il cambio di stagione ), ma il fatto è che il dolore è quasi una veste invisibile, non tutti la vedono, ma c’è….

    Dalila

  26. CristinaKhay ha detto:

    Carmen:
    ho letto d’un solo fiato il tuo splendido intervento, ben esposto e più che sufficentemente esaustivo, per quanto mi riguarda. Devo farti i miei complimenti anche per la bellissima forma prosaica con la quale ci hai deliziato. Il tuo non è sfoggio di sapere, è una trasmissione di sapere nella maniera più comprensibile possibile nonostante i molti termini specifici che conosci e giustamente usi, a nostro vantaggio 🙂 Quindi ti prego di continuare a “sfoggiare” queste tue conoscenze, te ne sarò personalmente grata.
    Tu dici:

    Ogni corpo percepisce e si identifica con la volontà di vivere, che è quell’impulso irrazionale ed emotivo che si trova in tutti gli uomini, per questo il corpo è lo strumento usato dalla volontà per oggettivarsi

    Io vedo la volontà come uno strumento del pensiero. E’ uno strumento potente, che convoglia energie, organizza le conoscenze e le esperienze in favore di un obiettivo, una meta pensata, desiderata. E come anche tu affermi…sì, attraverso la volontà oggettiviamo il corpo. Ma il dolore esistenziale che provo (ti sto parlando di me) non è dato dalla lotta tra la mia volontà e il mio corpo, ma dalla diverse dimensioni che mi trovo a vivere simultaneamente, quella velocissima del pensiero e quella più lenta della materia. E’ difficile conciliare questi due aspetti del nostro esistere in questo frame, in questo fotogramma di esistenza. Non credi che la materialità con il suo laccio temporale stringa così tanto il pensiero da costringerlo ad un incedere che non gli è proprio, causando appunto, sofferenza in vari modi?

    Dice ancora il filosofo di Danzica: il dolore è la condizione basilare dell’uomo, il quale, essendo soggetto alla volontà, non può fare a meno di desiderare e quindi essere insoddisfatto, è in questa insoddisfazione che si scopre la causa del nostro dolore.

    Questa è sacrosanta verità, ma è importante capire la molla, ossia l’impulso del desiderio… se a muoverlo è una mancanza, se il desiderio è espressione-reazione di una mancanza vissuta, questa sensazione di mancanza come una carta carbone si ricalcherà su ogni cosa nuovamente acquisita, ne porterà i colori, i sapori, quel senso di malinconia inadeguatezza, di vuoto, di insoddisfazione continua…
    In poche parole tutto il nostro sentire che maggiormente ci pervade durante i giorni e che fa parte del nostro solito modo di essere e di pensare sarà facilmente trasferito su chiunque e su qualsiasi cosa, dopo breve tempo. La nostra mentalità, le nostre convinzioni sul mondo, ma soprattutto su noi stessi saranno la regia di quella tragicommedia che è la nostra vita.
    Ho imparato molte cose dal tuo ultimo intervento, grazie:)

    Lorenzo:
    E’ vero quello che dici, la poesia di Pessoa parla della finzione ma io vi ho intravisto una metafora che riguarda tutta l’espressione artistica e sociale. Mi spiego…
    Quando si osserva la manifestazione diretta di un dolore, quello che si prova osservando non è mai il dolore stesso…
    Ci sarà l’intensità sonora o visiva, si scorgeranno i segni della sofferenza, si potranno vedere le piaghe sul corpo e le parole ascoltate saranno di strazio… Ma è lo specchio del dolore, non il dolore stesso.
    Perciò la poesia di Pessoa mi sembrava adatta al contesto del tuo argomento…per quanto tu puoi gridarmi di dolore in faccia dopo aver preso una martellata sul dito, posso impaurirmi, posso paragonare questa reazione alla presenza di un pericolo,cercherò di collegare la tua esperienza a qualcosa di analogo che mi sia capitato tempo addietro e comincerò a provare compassione per te, ma mai condivisione. La condivisione presuppone di mangiare dalla stessa pagnotta, quindi, a meno che tu non mi dia una martellata su un dito ( e purtroppo anche qui può darsi che il dolore che io provo sia di natura diversa dal tuo ), dicevo, se non ne faccio anche io l’esperienza difficilmente potrò capire fino a che punto ti fa male…potrò solo con molta approssimazione “tentare” di immaginarmelo. Mi creerò quindi un dolore virtuale nella mente, per cercare di esserti vicina e soccorrerti nella maniera più appropriata. Ma soprattutto, in questo modo potrò forse evitarmi di fare la tua stessa esperienza, evitarmi un dolore futuro, facendo tesoro del tuo. A questo proposito riporto l’esperienza di Lucy-Terribilestella:

    “Quando una mia amica ha temuto di avere il cancro al seno, non ho dormito per i 10 giorni che sono trascorsi tra la biopsia e il suo esito, sentivo un dolore allo stomaco, e mi sono resa conto che stavo sì condividendo in modo molto forte il suo dolore/paura ma altrettanto che mi stavo facendo sotto di paura anche per me che in quel momento non ero la protagonista, ma sul pensiero DEL SE succedesse anche a me.

    e tu:
    Ecco il segreto forse della sopravvivenza, vivere le scale del dolore, che determini di conseguenza delle scale di felicità, di sentirsi bene.
    E dalla capacità di “misurare”il dolore che può nascere la capacità di vivere serenamente la vita, quale essa sia…

    Tutta l’espressione non solo artistica, ma anche quella della comunicazione più basilare tra umani per la condivisione delle conoscenze, come sta avvenendo qui, tenta di avvicinarsi il più possibile alla verità che ognuno di noi vive dentro e la mostrando agli altri come meglio può, spesso con notevoli fraintendimenti da parte di recepisce il messaggio. Purtroppo ogni forma di comunicazione è come il fingere che diceva Pessoa, perchè nessuno strumento comunicativo è così perfetto da far sì che l’altro possa essere te…. forse l’empatia extrasensoriale, la telepatia possono farlo, ma anche qui i filtri mentali personali temo che facciano la differenza.

    Importante come si diceva nei machiavellici riunioni aziendali…importante sono i risultati…

    Ma allora l’importante è la destinazione…o il percorso?
    Non sono atea ma nemmeno religiosa, molti qui lo sanno. Comprendo benissimo il bisogno di trascendente dell’Uomo perchè senza questa voglia di orizzonte saremmo vele senza vento. Mi dà solo fastidio il fatto che poi in certi ambiti ci possa essere una speculazione psicologica, cioè sul piatto della bilancia si offra il sollievo da una parte e molte catene di pensiero dall’altra…
    Non ho detto che la religione cristiana vede solo il dolore come mezzo per ottenere la salvezza dell’anima, ma che ne fa uno strumento nobile di purificazione, lo mette su di un piedistallo ( purificazione da che…dall’essere faticosamente umani? )…

    Esternare da vita, per viverne gli aspetti comuni e non solo quelli egoistici..

    Trovare il punto di congiunzione tra la nostra esperienza e quella altrui è molto importante, ma c’è un però…
    Spesso l’osservazione degli altri e la conseguente immedesimazione può essere un’arma a doppio taglio, può essere un alibi per impedirci di trovare e sperimentare le nostre proprie tracce, come pionieri. L’umanità ha sempre bisogno di nuovi dati per poter compiere la modificazione del proprio patrimonio genetico, fisico e psicologico, ed ognuno di noi è chiamato ad essere pioniere in questo senso, di sè stesso e nel favore di tutti 🙂

  27. CristinaKhay ha detto:

    Se può farvi piacere, vi lascio il link di un articolo che sto leggendo in questo momento, spinta alla ricerca dalle nostre discussioni…
    E’ apparso su una rivista sportiva, dove si illustrano esperimenti e risultati sulle reazioni al dolore.

    http://www.lucaspeciani.eurosalus.com/articoli/correre/il-dolore-solo-una-percezione.html

  28. simonascudeller ha detto:

    Intervenire in una conversazione già ben avviata è un po’ come arrivare tardi ad una cena mentre gli altri sono alla seconda portata, mette a disagio. Ho provato a leggere e cercare di legare tra loro i vari interventi e considerarli nel loro insieme, ma sono maldestra quindi cercherò di inserirmi con discrezione.
    Fare una distinzione viene piuttosto naturale, almeno tra l’aspetto fisiologico e quello sensoriale!!!!
    Come qualcuno ha già detto il dolore, inteso come sensazione, è la risposta ad un danno: quando è fisico, per un meccanismo di difesa, rivela una funzionalità errata o un evento straordinario che non è compatibile con il sistema meccanico del corpo ( per intendersi fratture, lacerazioni e così via ), quindi diviene il messaggio d’allarme che il nostro cervello riceve trasportato da diligenti e scrupolosi messaggeri!
    Ho trovato a questo proposito la definizione di dolore su Wikipedia, vi invito a leggerla, è schematica ma chiara.
     
    Quando invece “il Danno” ha sede nell’anima le cose si complicano notevolmente: il disagio interiore è inevitabilmente soggettivo, per non contrastare con quanto detto nel precedente post, l’unicità dell’individuo a livello di percezione, ricezione ed elaborazione dei dati credo sia fuori discussione ciò che forse può dare la misura dell’entità di questo tipo di dolore è il confronto ed è constatabile da tutti che neanche questo porta ad una soluzione definitiva in merito. Quando il male è dentro e non si riesce ad esprimerlo razionalmente s’interrompe qualcosa
     
    Entrambi gli aspetti rimangono comunque pertinenti alla sfera soggettiva, le reazioni di risposta variano da individuo ad individuo e anche quando si ha una scala di valore, come la famosa soglia del dolore, non ha validità oggettiva.
     
    Fatto sta che DOLORE è DOLORE
     
    Per venire poi al quesito principe ho trovato un no sense nella frase conclusiva del post, non perché non avesse senso ma perché due posizioni si contrappongono in quel periodo – consapevolezza della soglia oggettiva – ( se l’essere è unico lo è la sua percezione all’evento/ fenomeno oggettivo ) e – la risposta per la salvaguardia della propria missione di vita -.
    E’ vero che una volta elaborati i dati ( scusate i termini da studio di ricerca ma altrimenti m’incarto!) la risposta si adegua a fatti oggettivi che sono uguali ma sempre diversamente assimilati.
    Chi mi da’ la sicurezza dell’oggettività di quella soglia?
     
    Adesso Il dolore perfetto… esiste?
    Mi sono imbattuta in questo concetto anni addietro quando per caso, in libreria, venni attratta dal titolo di un libro, “il dolore perfetto” appunto di Ugo Ricciarelli, uno dei pochi libri ai quali ho dichiarato devozione. In sostanza quello che viene definito – dolore perfetto – è quello stato di azzeramento totale delle emozioni, stato in cui il dolore provocato da una perdita, da un evento disastroso lascia attoniti, basiti trasformando così l’anima in una sorta di registratore d’immagini, proiettati in un film di cui si è protagonisti fisici ma non partecipi.
    Il forte dolore quando è insopportabile fa svenire per esempio.
    Il dolore perfetto, così come l’ho elaborato nella mia testolina inceppata, è quel meccanismo di difesa ad oltranza che paradossalmente “dona” la serenità data dal non “dover sentire” altro perché porterebbe alla rottura dell’equilibrio, quindi alla devastazione interiore., con la conseguente chiusura a riccio rischiando l’implosione. E’ la sospensione della mente, se sia possibile attuarla è un altro paio di maniche!!!!
    Provare piacere nel dolore o dolore nel piacere può trasformarsi in un modus vivendi  dove il dolore si autoalimenta ma non solo per il fisico, in quanto il dolore ( emozione ) diviene parte integrante del vivere e nel momento in cui quella sensazione “familiare” si allontana sopraggiunge la necessità di ricercarla, le motivazioni sono varie…
    Sorrido pensando al dolore in amore quando si crede che tutto sia possibile ma che poi, nella realtà oggettiva, non è realizzabile e scatta quindi il tormento che provoca sofferenza, qui piacere e dolore camminano a braccetto! Che è un esempio banale lo so!
     
    In tutta sincerità mi è difficile accettare che con l’aiuto di nuove o tendenziose forme di approccio al dolore si possa dare significato preciso ad un meccanismo istintivo, per meglio dire credo non si possa dare nome, connotazione, a ciò che non è descrivibile se non con una serie di concetti o giustificazioni che non portano a dare una misura reale dell’entità ma ad un’immagine sfuocata.
    Sono convinta che come tante altre sfumature dell’anima, il dolore, attraversi le fibre di corpo e mente, contrastare questa corrente interrompe il flusso naturale dell’esperienza trascinando nel delirio.
    Altra è la questione dell’indagine…. cioè quel percorso con cui si va a ricercare la natura approfittandone per produrre altra conoscenza del proprio intimo, delineare limiti ed orizzonti…la comprensione del dolore sta  nell’accettarlo come fenomeno e non nel dargli una motivazione.. modesto parere di una persona abituata ad avere rispetto ossequioso per il Dolore
    Interessante sarebbe andare a considerare la percezione temporale del dolore. ma questa è un’altra storia 🙂

    Simona Scudeller

  29. PostIda ha detto:

    Intervengo velocemente, perchè mi son tagliata un dito e riesco a fatica a digitare ( maremmmaaaaaaa….che dolore!), per riagganciarmi ad alcuni interventi, non ultimo quello di Simona ( eccoti accontentata, nun te chiamo Scudeller) che nel finale del suo contributo cita una particolare concezione del dolore, che mi ero riproposta di trattare ( se non fosse intervenuto l’incidente casalingo di questo pomeriggio),ma provo a sintetizzare, a braccio.
    Il filosofo Kiekergaard, quando parla del tempo, prova a spiegare lnevitabile soggettività della percezione temporale che, sembrerà strano, ma è molto attinente al nostro tema. Egli dice: un’ora dal dentista è la stessa ora passata insieme alla persona che ami?Beh, c’è da convenire che gli stessi 60 minuti dal dentista, appaiono amplificati all’inverosimile, rispetto agli stessi 60 minuti trascorsi con la personata amata. Ciò a significare che il dolore,soggettivo all’ennesima Potenza ( eheheheh….ogni riferimento a luoghi e località è puramente casuale), viene amplificato, nelle condizioni di dolore, sia esso fisico che spirituale.Nella stessa maniera, anche la dimensione spaziale assume connotati diversi, quando siamo in piena sofferenza. Sarà difficile che noi si veda l’uccellino che fringuella sull’albero di fronte casa nostra se dentro di noi abbiamo un pugno che ci annoda la gola. Non è nemmeno un caso che l’Alda Merini ebbe a dire, a proposito della poesia: ” Le poesie si scrivono con le ginocchia piagate”.
    A Dalila vorrei fare i complimenti, per la resa del suo intervento che è efficace in misura direttamente proporzionale, e mi spiego: quanto più ci si sente coinvolti e chiamati in causa, tanto più riusciamo ad esternare, in quesato caso con la scrittura, il meglio di noi stessi.
    Non mi fate complimenti, per favore, io resto sempre e comunque Carmen….quindi, il mio dito ricomincia a sanguinare, ergo….devo lasciarvi.

    A presto!
    Carmen

  30. CristinaKhay ha detto:

    L’ultimo intervento di Dalida mi ha fatto riflettere molto. Caratterialmente sono abituata ad approcciare il dolore con l’analisi mentale, fino dove posso farlo, a volte ci riesco, altre meno.
    Il dolore che proviene da forti esperienze passate si ripercuote anche nel presente ogni qualvolta si accende la lucetta rossa del ricordo. Magari è un ricordo che rivive costantemente sotto i nostri occhi, e non riusciamo proprio a vederlo diverso. Eppure la differenza sta proprio lì, nel riuscire a lavarci gli occhi e scoprire quanto siamo stati bravi a sopravvivere, quanto siamo fieri di noi, quanto vale il piacere di esserci, per noi e per gli altri, quante cose siamo stati in grado di donare e quante ne abbiamo ricevute. Capire il nostro peso nella vita, il nostro naturale valore in qualsiasi situazione e condizione, sapere che abbiamo sempre un posto importante nel mosaico della vita è fondamentale per crearci una vita soddisfacente, fatta anche di piccole cose per qualcuno, ma grandi per molti.
    Il pensiero è in grado di portarmi felicità o disagio, serenità o tristezza.
    Molte volte mi è impossibile non pensare ai miei guai ma spesso diventa una abitudine all’attenzione negativa. E l’uomo è abitudinario per sua natura, quindi….
    Che ogni momento abbia il giusto sfogo, ogni tempo il suo dolore, ma poi anche la sua felicità.

    Simona:
    quello che dici riguardo la percezione temporale del dolore è interessantissimo… poi le parole di Carmen in merito mi fanno pensare che forse il tempo è legato alla percezione emotiva…
    E che ogni percezione emotiva possa avere una sua particolare frequenza, ossia velocità…

  31. simonascudeller ha detto:

    In realtà non è la velocità ma l’espansione che viene percepita come quantità un movimento, come se fossero due elementi con densità differente, col dolore si dilata la sopportazione.. cambia proprio l’approccio….e lo stato d’animo..
    Buona notte
    Smo

  32. simonascudeller ha detto:

    Ingengere perdona se ho usato impropriamente concetti che ti appartengono per professione!!!!

  33. claudine2007 ha detto:

    # Dalila
    Tutta la nostra esistenza terrena è una “ricerca”… ciò che inseguiamo è la felicità! La meta è di poco conto (ed è già stato riportato precedentemente) ciò che importa è il percorso seguito. Rilevante dunque è stare bene con se stessi e con il resto del mondo…
    La mortificazione come tu la riporti, mi fa pensare ad un avvilimento psichico il cui dolore è certamente grande ma come già più volte ribadito negli altri interventi precedenti, si tratta di un dolore “contenibile”. Qui non voglio dire che il dolore psichico sia di minore entità in confronto al dolore fisico… vedrei piuttosto una questione soggettiva del –come viene affrontato un dolore psichico- dacché verosimilmente l’escalation parte dalla situazione che lo genera (ad es. abbandono/perdita) ed il percorso che la persona affetta affronta (ad es. elaborazione del lutto).
    La psiche umana catalizza a volte soluzioni a breve termine, funzionali e razionalmente giuste… ma la stessa persona in circostanze diverse può reagire in maniera totalmente imprevedibile. Non sono una specialista per riportare ulteriori dettagli, mi fermo ai concetti elementari frutto di esperienza personale da non addetto ai lavori. I fattori esogeni che influiscono sulle reazioni dell’essere vivente (umano come pure animale) sono innumerevoli.
    Periodicamente osservando le reazioni di mio marito o dei miei due bimbi, mi rendo conto di come un nonnulla può modificare un comportamento “abitudinario”…
    Seppure vi sono delle situazioni analoghe che si possono ripetere con una certa frequenza “bioritmica” a volte mi meraviglio della reattività innescata da fattori involontari. Quando poi subentra il dolore psicologico (e la soglia di tolleranza per un bimbo è relativamente bassa), la trasformazione di questo dolore in lagrime è irrefrenabile.
    E qual è la reazione più consona? Abbracciare il bimbo che piange e consolarlo, cercando di riportare la sua attenzione al qui ed ora e dimenticare il dolore psicologico.
    Con gli adulti è un po’ diverso poiché il fattore rabbia, orgoglio ed “apprezzamento del sé” entra in gioco. Ma solo perché ci sentiamo portati ad indossare la famosa “maschera del tutto va bene” cercando d’ingannare anche noi stessi.
    Penso che non esiste pratica spirituale superiore a quella di riconoscere “l’apprezzamento del sé” tutte le volte che sorge e in seguito di incolparlo di tutti i nostri problemi. Non importa quanto a lungo restiamo su questa pratica; anche se richiede anni o la nostra intera vita, abbiamo bisogno di continuare fino a che il nostro apprezzamento del sé non sia completamente distrutto (mi riferisco alla meditazione focalizzata). Sarei stuzzicata di dire che se così interpretato, il dolore psichico può essere considerato una causa diretta dell’apprezzamento del sé… Poiché se riesco a non provare attaccamento (costrizione a livello psichico) ad un oggetto o altro essere vivente, non ne risentirei della perdita. Facile a dire… un po’ più difficile da mettere in pratica.
    Dunque, dopo questo rigiro di frasi, torniamo alla sostanza della tua domanda:

    ** se un individuo in questa vita terrena ha un fardello pesante da portarsi è per qualche difetto nelle vite precedenti? Perché se non erro più il karma è pesante più lo devi riscattare per una serie di sbagli in qualche vita precedente.**

    Le impronte karmiche generate nelle vite precedenti non sono “difetti”, bensì risultati di azioni legate alla Legge della Causa-Effetto (come semino raccolgo). In parole semplici, se durante le innumerevoli vite precedenti un essere umano ha sviluppato un forte attaccamento al sé (dal quale sorgono tutti gli altri accecamenti), questi accecamenti creano il karma gettante ovvero la causa di un’altra rinascita samsarica nella quale proviamo paura sofferenza e problemi. Questo processo è un ciclo senza fine a meno che non si raggiunga il nirvana. Alcune delle nostre azioni maturano però nella nostra stessa vita in cui sono state compiute, alcune maturano nella vita successiva, e alcune maturano nelle vite seguenti.
    Il dolore provato non è da considerarsi “punizione”, ma bensì è un risultato della somma di azioni distinte che hanno generato karma negativo.
    Il tutto, da non dimenticare, non va ravvisato quale malignità dell’Essere nella sua presenza metafisica, ma bensì è il livello della sua Mente/Anima ad essere portatrice del karma negativo, il corpo è unicamente l’involucro!

    Ora mi fermo qui… mi accorgo che tendo a divagare… spero di averti potuto dare un ragguaglio, anche se in sostanza sintetizzo molto di quanto già asserito precedentemente.
    Buona notte a tutti!
    Una serena giornata :-)claudine

  34. marleneinnoir ha detto:

    mi è piaciuta la lettura di queste riflessioni , sia nel post che nei commenti .

    dolore… ho lavorato molto per raggiungere una sorta di intaccabile forma di freddezza . ora non sento più dcolore : quando lo avverto mi allontano dalla situazione senza reazione alcuna . ne ho provato troppo in passato per una forma smisurata di sensibilità , ora basta . conosco comunque molte persone che addirittura lo cercano per sentirsi vive , ed io mi guardo dall’esprimere giudizi , dobbiamo tutti concedere di essere .

    Lorenzo ti lascio un abbraccio .
    Linda

  35. PostIda ha detto:

    Sottopongo alla vostra attenzione, poiché li ritengo funzionali al prosieguo di questo dibattito sul dolore, due brani: il primo è tratto dal “ Profeta” di K. Gibran e ne copio/incollo uno stralcio:
    “Il dolore è per voi lo spezzarsi del guscio che racchiude la vostra comprensione. Come il nocciolo del frutto deve rompersi affinché il suo cuore sia esposto al sole, così voi dovete conoscere il dolore. Se solo conservaste in cuore lo stupore per i quotidiani miracoli della vita, il dolore non vi parrebbe meno meraviglioso della gioia; e accettereste le stagioni del cuore come avete accettato sempre le stagioni che sui campi si susseguono. Così, attraversereste serenamente gli inverni del vostro dolore. Molto del dolore che provate è da voi stesso scelto. E l’amara pozione con cui il medico che sta in voi guarisce l’infermo che anche è in voi. Confidate dunque nel medico, e bevete il suo rimedio in sereno silenzio: poiché la sua mano, seppur pesante e dura, è guidata da quella tenera dell’Invisibile. E la coppa che vi porge, benché bruci le vostre labbra, è fatta con la creta che il Vasaio ha inumidito con le stesse sacre lagrime. La vostra gioia non è che il vostro dolore senza maschera. E il medesimo pozzo da cui sgorga il vostro riso più volte si è riempito delle vostre lacrime. Come può essere se non così? Più profondamente scava il dolore nel vostro essere e più è la gioia che potete contenere. Non è la coppa che contiene il vostro vino quella stessa che il vasaio ha arso nel suo forno? E non è il liuto che vi distende lo spirito quello stesso legno che le lame hanno incavato? Quando siete lieti guardate a fondo nel vostro cuore e troverete che la gioia proviene da ciò che vi ha dato dolore. Quando siete nel dolore guardatevi ancora nel cuore, e vedrete che in verità piangete per ciò che è stato il vostro diletto. Alcuni tra voi dicono, “la gioia è più grande del dolore”, e dicono altri, “no, più grande è il dolore.” Ma a voi io dico che sono inseparabili. Insieme giungono, e quando l’una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l’altro dorme nel vostro letto. In verità siete sospesi come bilance tra la gioia in voi e il dolore. Solo se siete vuoti restate immobili e in equilibrio. Allorché il tesoriere vi solleva per pesare l’oro suo e l’argento, non possono la vostra gioia e il dolore non alzarsi o ricadere “.
    Il secondo è tratto da “ Lettera sulla felicità” di Epicuro:
    “Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’ animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata lieta. Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per possederla “
    Alla luce della lettura di questi due brani, mi viene da pensate che spesso il dolore deriva dal fatto che la nostra vita va in una direzione che non ci realizza, e anzi ci fa star male. Tuttavia, ci ostiniamo a proseguire in quella direzione, vuoi per paura di cambiare, vuoi per un malinteso senso del dovere, che ci fa agire in modo contrario al nostro sentire. Pertanto, il senso del dolore svolge un importante funzione di feedback, che dovrebbe aiutare l’individuo a dirigere il proprio agire e a governare nel modo migliore la propria vita, purché naturalmente egli sia in grado di sentire i segnali e di interpretarne correttamente il significato. Bisognerebbe forse lasciarsi guidare dal dolore, seguirlo, viverlo e non subirlo con reazioni di paura o ribellione irrazionale. Il dolore, infatti è spesso un segnale che ci comunica che qualcosa non va nel nostro corpo (se è un dolore fisico) o nella nostra vita relazionale (se è un dolore emozionale). E’ un po’ come la spia che si accende sul cruscotto della nostra autovettura. Se ci fermiamo per tempo i guai sono contenuti, se aspettiamo troppo potremmo rovinare irrimediabilmente l’auto o peggio avere un incidente. E lo stesso accade nella vita, se non ci fermiamo ai primi segnali di sofferenza, la situazione si aggrava e sarà più difficile e doloroso risolverla. Se sentiamo dolore (per la solitudine, per una relazione insoddisfacente o per qualsiasi altro motivo) la prima cosa saggia è fermarsi. Fino a che non ci fermiamo come potremmo fare un esame interiore, per capire che cos’è che non va e perché non va per il verso giusto, e a tentare di risolverlo, anche chiedendo eventualmente aiuto a un amico, a uno psicologo, o a un religioso?
    Concludo, dicendo che probabilmente la capacità di sentire il dolore è una funzione da comprendere e riabilitare, poiché esso è indispensabile per ciascuno di noi, che voglia essere se stesso ed individuare la propria strada. In tal senso, proprio in questo giorni, mi è capitato fra le mani un libro, che però non ho ancora finito di leggere. Il suo titolo è “ Un tempo per il dolore. Eros, dolore, colpa” di Tonia Cancrini, una psicanalista della seconda Università di Roma. Sarà interessante redarguirvi sul suo contenuto, ma dovrete aspettare qualche giorno e forse questo argomento si sarà bell’è esaurito, ma potremmo in futuro confrontarci comunque.

    Buona giornata a tutti.

    Carmen

  36. simonascudeller ha detto:

    Io ho un grosso problema di comprensione..
    Nella lettura dei vari interventi ho notato che spesso si fa riferimento alla ricerca della felicità mettendola in stretta relazione col dolore..
    Intanto per la definizione di felicità si dovrebbe aprire un’altra discussione e credo che non verremmo a capo di niente!
    da Carmen “Alla luce della lettura di questi due brani, mi viene da pensate che spesso il dolore deriva dal fatto che la nostra vita va in una direzione che non ci realizza, e anzi ci fa star male. Tuttavia, ci ostiniamo a proseguire in quella direzione, vuoi per paura di cambiare, vuoi per un malinteso senso del dovere, che ci fa agire in modo contrario al nostro sentire” ho preso ad esempio questo pezzo perché vorrei porre dei quesiti?
    Ma non è che si confonde il dolore con l’effetto causato dal mancato raggiungimento della felicità o degli obbiettivi preposti o della mancata direzione desiderata, quindi con il senso d’impotenza, d’insofferenza, con il disagio, con la stizza, perché no, di non aver saputo cogliere l’attimo o assaporarne l’essenza?

    Il dolore toglie l’energia quando si presenta come un fiume in piena, inchioda e mostra tutti gli ostacoli, non si può far altro che accettarlo fino a che non si prende coscienza dell’accaduto; è molto diverso dall’essere insoddisfatti…o insofferenti come un cavallo selvatico al laccio.

    Se io sono serena ma non felice, cioè in quello stato emozionale sublimato, mica sto male! Sto bella tranquilla a grogiolarmi nelle mie elucubrazioni e mi affaccio alla vita col il mio essere più o meno visibile!
    Perché la mancanza di volontà e/o forza deve essere tradotta in Dolore?
    Perché cercare la felicità mi dovrebbe portare dolore quando la ricerca stessa sprona a fare sempre di più e meglio? e aggiungo, porta ad una conoscenza più specifica di sé nel positivo.
    Felicità e dolore sono emozioni provocate da meccanismi diversi, fanno parte di un bagaglio già pronto, all inclusive, possono intrecciarsi naturalmente, almeno così mi hanno raccontato, e mentre nel primo caso il piatto è gustoso e invitante, nel secondo c’è l’amarezza, fa fatica  mandarlo giù e digerirlo.
    Ho abbassato il livello della discussione me ne rendo conto…. sopportate finché potete! Faccio sempre troppe domande!!!!!
     
    Simo

  37. PostIda ha detto:

    All inclusive Simo eh?
    Problemi di comprensione? Suvvìaaa….sai bene quali sono i problemi che abbiamo ( plurale solidale ovviamente): quelli delle colf che scarseggiano, maremmaaaa!!
    Intanto, non credo che tu abbia abbassato i toni della discussione, come al solito dimentichi che siamo in un disordinato salotto( vedi mia dettagliata descrizione nel post precedente), in cui il padrone di casa, che ancora non ci ha offerto un drink, chessò anche un the con due pasticcini ( ma sorvoliamo) ci ha invitate a discutere, ciascuna col proprio bagaglio di convinzioni e scelleratezze ( io e te facciamo a gara a chi le spara più grosse), quindi non è detto che i toni possano essere alti e/o bassi, perché anche in questa considerazione potremmo stare a parlare per delle ore. Allora, per rispondere al tuo quesito ( beata te che, anche quando non provi dolore, ma sei SOLO ( e sottolineo SOLO) serena, passi il tempo a masturbarti il cervello con alcune tue cervolletiche idee ( quanto le adorooooooooo però), ti sono andata a cercare un raccontino ( non è il mio, ma del Dr. Cavaliere, illustre psicologo romano), molto simpatico ed esaustivo, chissà che non sia più chiaro il mio pensiero.
    “Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale. A uno dei due era permesso mettersi seduto sul letto per un’ora, ogni pomeriggio, per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo ed il suo letto era vicino all’unica finestra della stanza. L’altro uomo doveva restare sempre sdraiato. Infine i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto. Ogni pomeriggio l’uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando all’altro tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra. L’uomo nell’altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno. La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto. Le anatre e i cigni giocavano nell’acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza. Mentre l’uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli,l’uomo dall’altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena. In un caldo pomeriggio l’uomo della finestra descrisse una parata che stava
    passando. Sebbene l’altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla con gli occhi della sua mente, così come l’uomo dalla finestra gliela descriveva. Passarono i giorni e le settimane. Una mattina, l’infermiera di turno portò loro l’acqua e trovò il corpo senza
    vita dell’uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno e, chiamati gl’inservienti, fece portare via il corpo. Non appena gli sembrò opportuno, l’altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra. L’infermiera acconsentì ben volentieri, e dopo il cambio di letto ed essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.Lentamente, dolorosamente, l’uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno. Si sforzò e si voltò lentamente per guardare
    fuori dalla finestra vicina al letto. Essa si affacciava su un muro bianco.
    L’uomo chiese all’infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto
    a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori di quella finestra.
    L’infermiera rispose che il suo amico morto era cieco e non poteva nemmeno
    vedere il muro. “Forse, voleva farle coraggio.” disse. “
    La morale di questo racconto?
    E’ che, nel rendere felici gli altri c’è da essere tremendamente felici, anche a dispetto della nostra situazione. Allo stesso tempo, un dolore diviso si dimezza. Condividi mia bella pisanina o no? Beh…le frittelle di riso, ti piaccia o no, me le devi preparare!!!

    Carmen

  38. blackdavil ha detto:

    Discussione molto interessante ma al contempo così complessa ( su di essa sono stati scritti fiumi di parole)…. che si rischia di finire nella tautologia. Ovvero nella indimostrabilità del teorema. Ricordo che il contrario della tautologia è la contraddizione. Ma qui non siamo di fronte ad una contraddizione… ma ad un quesito ben chiaro… ed intelligentemente proposto.
    Propongo le mie considerazioni rispondendo alle domande poste nell’argomentazione…

    Il furore del dolore..
    Ma come misurare il dolore, se non con la scala del proprio dolore!
    È corretto?

    Assolutamente si…. e non potrebbe essere altrimenti…. e questo vale per qualsiasi sentimento, non siamo macchine… ma esseri cromosomicamente diversi l’uno dall’altro per cui ognuno ha la propria scala di valutazione e somatizzazione degli accadimenti che la vita necessariamente ci pone davanti continuamente.

    La misura del dolore dovrebbe essere oggettiva ma come è possibile valutarne la consistenza senza conoscere soggettivamente i valori del dolore?
    E’ assoluto o relativo?

    Può essere oggettivo solo il concetto di dolore…. ma, per quanto su detto ,non la misura dello stesso
    che è assolutamente relativa… e non solo riferita ad individui diversi, ma allo stesso individuo.
    Sono troppe le variabili della nostra vita… e la concomitanza di quella o questa variabile con la presenza nella nostra anima del dolore… fa si che di volta in volta possa mutare la nostra stessa scala di valutazione del dolore stesso. La nostra psiche è troppo complessa per parlare di assolutismo. Se il dolore fosse un valore assoluto ne ridurremmo l’essenza stessa. E’ nella sua molteplice capacità di presentarsi che sta il suo fascino.

    Si cade così nell’egocentrismo ed egoismo del dolore: il dolore vero…è il nostro.

    Assolutamente vero ! Il culto del proprio dolore è un dato di fatto. A volte ne siamo così presi da esserne gelosi.

    Perché lo sentiamo, perché ne sentiamo gli effetti direttamente, altrimenti saremmo tutti più tolleranti e consapevoli del senso del dolore altrui.

    Utopia….. il fatto che si possa essere veramente partecipi del dolore altrui. Lo vediamo costantemente. Proprio per l’egotismo ( e non egoismo) che oggi impera in ogni ambiente. Si mette in mostra il proprio essere… degli altri ne annusiamo appena la presenza.

    E allora quale è il dolore perfetto?

    Il cuore della questione. E’ ovvio che qui non si parla di dolore fisico… se non come riflesso di quello estremamente più sottile ed insidioso che è quello dell’anima.
    Come si fa a rispondere ad una domanda del genere…. se si parte dal concetto base che la perfezione
    non esiste ?

    Citazioni sulla perfezione.

    Dio mi guardi dalla perfezione, il peggior genere letterario che esista. (Paul Léautaud)
    È difficile mantenersi a lungo in uno stato di perfezione, e per legge naturale ciò che non può progredire regredisce. (Velleio Patercolo)
    Ho voluto la perfezione e ho rovinato quello che andava bene. (Claude Monet)
    La libertà è una virtù, ossia una perfezione: qualunque cosa, pertanto, denunci l’impotenza dell’uomo, non può venir imputata alla sua libertà. (Spinoza)
    La perfezione non è essere perfetti, ma tendere continuamente ad essa. (Johann Gottlieb Fichte)
    La perfezione […] non deve essere un fine, ma solo il punto di partenza: da lì puoi fare quello che vuoi se sei un’artista,altrimenti sei solo qualcuno che padroneggia benissimo una tecnica. (Alessandra Ferri)
    Non aver paura della perfezione. Non la raggiungerai mai. (Salvador Dalí)
    Per essere perfetta le mancava solo un difetto. (Karl Kraus)
    Que’ prudenti che s’adombrano delle virtù come de’ vizi, predicano sempre che la perfezione sta nel mezzo;e il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov’essi sono arrivati, e ci stanno comodi. (Alessandro Manzoni)
    Riposare nella perfezione è il sogno di chi tende all’eccelso, e non è forse il nulla una forma di perfezione? (Thomas Mann, La morte a Venezia) .

    Invidio chi può dire “ ho vissuto il dolore perfetto”…. come dire “ ho vissuto l’amore perfetto”. Perchè a mio avviso le due cose non possono esistere separatamente. Lo invidio perchè deve aver provato un amore sovrumano.
    Sono convinto che si possa provare un dolore terribile, il più atroce….( e solo per quella forma di egocentrismo di cui si parlava prima… ognuno di noi può dire che sia perfetto…)… ma è sempre relativo alla nostra essenza…. tanto è che se ci chiedessero di spiegarcelo… non so quanto riusciremmo a farlo capire “ perfetto” agli altri .Il metro di misura non corrisponderebbe…. tornando alla soggettività dell’emozione provata.
    Ed al contempo ho un sentimento di estrema riverenza per quell’essere che mi dicesse di aver provato “ Il dolore perfetto”… non mi sognerei mai di togliergli quell’illusione di averlo veramente conosciuto… perchè comprendo che sarebbe come cancellare quel senso di anima inebriata che ormai fa parte integrante della sua vita.

    È questo che sento, e che percepisco nelle carni o nella mente, o nel cuore?
    O codesto…?
    O quello…?
    Saper vivere è quindi la capacità di conoscere il dolore e saperne gestirne gli effetti, è la consapevolezza di sapere individuare la soglia oggettiva, e rispondere con comportamenti adeguati, volti alla salvaguardia della propria missione di vita.

    Il dolore, qualunque esso sia ,si avverte ovunque… indipendentemente da dove parta. Un dolore fisico inevitabilmente ci costringe anche cuore e mente. Il dolore dell’anima ce l’abbiamo stampato nelle smorfie del viso, nelle contrazioni di ogni muscolo, nelle parole che spesso insensatamente pronunciamo.
    Non credo che sia possibile conoscere il dolore a tal punto da poterlo gestire e controllarne gli effetti. A mio avviso il dolore deve fare il suo corso… e non avrebbe senso prendere delle contromisure… ammesso che sia possibile. Il dolore fa parte della vita… senza non saremmo nulla.
    Non sapremmo riconoscere il bene dal male… e non sapremmo nemmeno amare.
    Se per missione di vita si intende conoscere il dolore, o meglio la sua soglia oggettiva , per venire in aiuto del prossimo qualora ce ne fosse bisogno….non credo che sia possibile… proprio perchè ognuno vive il dolore a modo suo… e non sarebbe corretto… perchè superare da soli momenti di sconforto non fa altro che aiutarci a crescere.
    Lo stesso vale se si intende salvaguardare se stessi da questo mostro che è il dolore. Non è un mostro… e più di ogni altro sentimento ci fa capire chi veramente siamo.

    Grazie infinite all’ospite del sito che ci ha permesso di esprimere le nostre opinioni.

  39. simonascudeller ha detto:

    A seguire ho messo alcune cose che nel pomeriggio ho letto e che mi hanno inceppato ancora di più il cervello, perché sempre nell’affrontare la questione dolore è saltata fuori la religione e sono andata ad infilarmi in un cespuglio di schiaffi!!!! Come cadere tra rovi di more per intendersi!
    Dico questo perché avendo conoscenza vaga dell’argomento e sicuramente poca dimestichezza nel gestirlo lascio alla gentile attenzione degli avventori la riflessione.
     
    – Allora l’atto di dolore è la richiesta di perdono per la mia sofferenza.. dico io, pecco di mia spontanea volontà perché devo senti’ dolore? mha..
    Atto di dolore ( perfetto ) ( espiazione )
    Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi, e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.
    Propongo con il tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdonami.
    Il mezzo ordinario per ricevere il per­dono dei peccati è il Sacramento della
    Confessione.
    Il mezzo straordinario è l’atto di do­lore perfetto, con il proposito di confes­sarsi al più presto. Che cosa è il dolore?
    E’ il dispiacere delle colpe commesse, che fa proporre di non peccare più.
    Il dolore è di due specie: imperfetto e perfetto.
    E’ imperfetto se si è pentiti dei pec­cati, più per il timore dei castighi divini che per l’offesa fatta a Dio.
    E’ perfetto quando si è pentiti del ma­le fatto più per il dispiacere dato a Dio, il più buono dei padri, che per il giusto castigo meritato.
    da leggere
    -Qua mi dice che la causa del dolore è la brama, il desiderio… io dico avete perso il cervello vero?
    Questa posizione probabilmente avallerebbe la teoria della mancata felicità che provoca dolore…
    Un testo antico, fra i tanti che si potrebbero citare, il sermone di Benares: "Questa, o monaci, è la nobile verità del dolore. La vecchiezza è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che non è caro è dolore, la separazione da ciò che è caro è dolore, il non ottenere ciò che si desidera è dolore. (…) Questa, o monaci, è la nobile verità dell’origine del dolore: l’origine del dolore si identifica con la brama, la quale conduce a nuove esistenze, è congiunta col diletto e con la concupiscenza, e trova appagamento ora qua ora là. Esiste la brama per il godimento degli oggetti dei sensi, la brama per l’esistenza e la brama per la non esistenza".
    da leggere
     
    -Questo link è interessante, mette a confronto le tre religioni monoteiste e fa capire alcune cosette
    ”Quando il dolore e la sofferenza fisica diventano esperienza di vita l’uomo si interroga, cerca spiegazioni, aiuto, risposte capaci di donargli serenità interiore e forza per affrontare la malattia ..)
    da leggere
     
    – Come affronta nel suo corso il problema della religione?
    L’etica religiosa e l’etica filosofica rappresentano due linguaggi, due approcci diversi per dire la stessa cosa. Non ne considero uno subordinato all’altro. Occorre un orientamento spirituale.
    Essere religioso è certamente un aiuto importante, la fede è una bella risorsa, la religione può fornire una sorta di supplemento, che definirei “grazia”. Ho una visione della grazia nel senso che potenzia. Ho una fondamentale fiducia nelle risorse umane. Per me la religione non è essenziale: potrò rinviare il credente alla sua religione, ma al non credente non creerò problemi dicendo che la sua posizione è incompleta. Quello che è importante è che abbia un orientamento, un programma di vita, che abbia un’idea di cosa vuol dire essere “una bella persona”.
    da leggere
     
    Non è esattamente una spiegazione ma in poche semplici righe rispecchia la mia idea: L’esperienza del dolore oscilla tra la ricerca di un senso e il bisogno di salvezza, da un lato, e dall’altro l’esigenza di restare "fedeli alla terra", senza fughe in improbabili paradisi.
    Il problema del dolore.
    Se il dolore è quanto di più immediato e dirompente possa darsi nella vita di un uomo, esso pone il problema del suo senso: se tale senso esista o meno, e come si possa attraversare l’esperienza del patire
    da leggere
     
    e ce ne è di roba da leggere eh? ci vuol solo tempo e voglia di elaborarle.
     
    @ Carmen
    Ma io quel meccanismo lo conosco piuttosto bene, come potrei esistere senza il mio dolore/gioia, senza il dolore/gioia altrui e senza “contare” balle ( stupidaggini ) per smorzare il flusso e cedere ad una risata estorta? La mia serenità sta nel riuscire ad affrontare gli eventi arrabattando/inciampando con le mie masturbazioni mentali e allorquando non riesco non mi strazio per il dolore ma per l’arrabbiatura!!! Io son felice per delle piccolezze microscopiche e non faccio testo per i grandi obbiettivi. Ma qui non si parla di me!
    Mi domando solo perché al fine di dare spiegazione al dolore si metta in gioco la carta del raggiungimento della felicità mancata o anelata e mai raggiunta, perchè è nell’animo umano andare sempre oltre l’obbiettivo conquistato.

  40. CristinaKhay ha detto:

    Proprio qui, il Reale.
    Come esprimerLo, senza l’oblio delle parole?

    Chuang Tzu

  41. claudine2007 ha detto:

    **Mi domando solo perché al fine di dare spiegazione al dolore si metta in gioco la carta del raggiungimento della felicità mancata o anelata e mai raggiunta, perchè è nell’animo umano andare sempre oltre l’obbiettivo conquistato.**

    Parto dall’osservazione di Simona…
    Regalandovi per una meditazione un aforisma di S.S. il XIV Dalai Lama

    “Si potrebbe definire la compassione il sentimento di chi non può sopportare di vedere le sofferenze altrui. E perché nasca un simile sentimento bisogna che si comprenda a fondo la gravità o intensità delle pene degli altri.”

    Se questo è il mio obiettivo, compassionevolezza verso tutti gli esseri viventi, l’antitesi è incomprensione di quanto mi circonda.
    La felicità non è un “bene materiale” che ci procura agio… è un emozione che si crea nel saper donare senza voler ricevere. Nel saper amare incondizionatamente ogni essere, iniziando ad amare se stessi… con convinzione e sincerità… Come posso amare un’altra persona se non riesco ad amare me stessa??
    La vera felicità dimora nel cuore spirituale di chi ha capito che esiste un legame importante tra la felicità e la tolleranza, nella misura in cui meno pregiudizi equivalgono a più felicità.

    Non chiamerei “masturbazioni mentali” le tue elucubrazioni, cara Simona,… sei alla ricerca della Verità Ultima e questo è il Sentiero che tu persegui con soggettiva consapevolezza… in “questa” Vita!
    Le persone che qui sono state amabilmente invitate da Lorenzo, seguono diversi Cammini… affinché la loro Mente/Anima possa trovare al fine la Meta agognata.
    E’ per me un’esperienza speciale poter camminare virtualmente al vostro fianco per un attimo della mia esistenza… vi ringrazio per gli insegnamenti e soprattutto per l’Emozione.
    Serenità :-)claudine

  42. davedomus ha detto:

    Mi catapulto in questa discussione e già sono tramortito da tante definizioni, interpretazioni, discussioni sul dolore e in particolare di quello perfetto. Devo dire che non sono riuscito a leggere tutto ma, a parte il dolore fisico (ovvero quando uno si da una martellata sul dito), mi piace la visione del dolore come ascesi. Mi spiego: il dolore perfetto è la felicità. E per felicità intendo uno stadio simile al Samadhi di chi pratica lo Yoga (quello vero). Attraverso la meditazione si arriva ad annullare il proprio io individuale (inteso in tutte le sue forme mentali, psichiche e fisiche) per fondersi con il tutto. L’esperienza del dolore, come tutte le altre, va vissuta in tutti i suoi stadi e quindi, può essere uno dei mezzi di crescita della coscienza. E’ chiaro che anche questa si tramuterà da coscienza individuale in coscienza del tutto. Che dire? Tutti voi avete detto praticamente tutto e il mio contributo penso proprio che si fermi qui…

  43. TerribileStella ha detto:

    @Dalila:
    Anche io da ragazzina volevo fare l’ifermiera, e per mia fortuna non l’ho fatto.
    Paura del dolore… si perché no, non è un dolore anche questo?
    Il dolore è inteso solo come fisico? Non esiste un dolore emozionale?
    Perché io è a quel dolore che mi riferivo in quell’esempio…
    Besito

  44. StregaLunare ha detto:

    @Lucy
    Forse non mi sono espressa bene…Comunque avevo inteso che era dolore emozionale ( e in quasi tutti i miei inteventi ho sempre parlato del dolore emozionale)…il mio intervento era riferito all’individuo in generale che ha paura della morte e alla fine mi sono collegata al senso pratico di chi svolge un lavoro medico….scusami se mi sono spiegata un po’ per aria :))
    A volte capita che mi perdo tra le parole…ehehehe mica sono perfetta….oserei dire perfettamente imperfetta 🙂

    Dalila

  45. TerribileStella ha detto:

    @ Dalila
    Ci mancherebbe mia cara… puoi esserti perduta tu tra le parole, come potrei essermi persa io…
    Nessun problema
    La paura della morte…
    ci vorrebba un post apposito…
    Lorenzo?!?!
    Cogli il suggeriemento?
    un bacio a entrambi

  46. claudine2007 ha detto:

    Très bien, mon cher Lorenzo…
    le prochain « post » -> La Mort

    Uno spunto da Arnaud Desjardins:
    “La vita si esprime in un movimento perpetuo di cambiamenti: la nascita del bambino, è la morte del neonato, la nascita dell’adolescente è la morte del bambino…”

    … e più sofisticato è il livello della conoscenza, più efficace sarà il modo di affrontare la natura…

    Bonne nuit :-)claudine

  47. StregaLunare ha detto:

    No vi prego….meglio discutere sui tarocchi o l’astrologia….ahahahha…dopo il dolore la morte?? Eh noooooo, mi volete proprio in delirio….. ( scherzo)

    “Il destino mescola le carte e noi giochiamo.”

    A.Shpenhauer

    Per la gioia della prof.

    Buonanotte
    Dalila

  48. TerribileStella ha detto:

    In effetti, per amore dei miei mancati attacchi di panico di questi mesi, meglio sorvolare sulla morte…

    Buona notte a chi ancora è sveglio e veglia

  49. ladilunaa ha detto:

    E VENNE IL DOLORE A DIRMI

    Le campane ,che in via di dolcezze
    mi percorsero-un tempo-

    urlano sciami impazziti di nere strofe

    nel tuono dorato a gemere

    oltre

    l’azzurro del monte.

    E’ un muto lamentare,di un qualche

    freddo stagno

    dove immergo le mani e il pensiero

    mi torna fumo

    -in un grido di sangue-

    concerto che spezza

    nella forma immota dell’equilibrio

    la paura della notte

    che mi raggiunge più scura

    -senza labbra-

    imprigionandomi in ragnatela contorta.

    Questo per me è il dolore ,la mancanza ,
    qualcuno ha parlato di ascesi, di dolore perfetto…di perfezione…
    credo che si dovrebbe cercare e dare altre spiegazioni a queste forme astratte e non Dolore .

    Un aforisma cinese dell’epoca Ming dice che il dolore è una rappresentazione viva del dolore, che se si cessa di rappresentarla il dolore svanisce.
    Forse è così, se bene si pensa .

    Ma il dolore è crescita ,è stimolo ,è sensibilità riflessa in ogni essere che soffre,ed anche questo avrebbe forse bisogno di altri nomi che non dolore.

    Si nasce piangendo e si muore soffrendo ,nel lasso di tempo fra i due estremi , la stoicizzazione del dolore è equilibrio di vita .

    Ma la forma più acuta per me resta:
    buio, mancanza.

    scusate dopo tante dotte visioni,la mia forse troppo personale di piccolo poeta sempre in cerca.

    grazie al mio ospite e a chi è passato prima di me .

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